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Sempre più affascinato dalla fisiognomica mi attardo a guardare con attenzione le movenze e i visi di coloro che sono impegnati in qualche attività fisica che riveli predisposizione e attenzione ai dettati dell’animus.
Rivedo in tv ‘Le quattro stagioni’ di Vivaldi suonate e dirette da Gidon Kremer nel 1981 con la English Chamber Orchestra. Il corpo magrissimo dell’artista si piega alla volontà del dettato; le labbra grosse e pendule sembrano bere a piene sorsate le onde della musica che si organizzano in un flusso che coinvolge tutti i sensi: dagli odori, ai sapori, alla vista e all’udito. Un’esperienza che lascia senza fiato e che ci rivela come la musica debba essere non solo ascoltata, ma anche vista e… mangiata.
Se dalle vette della musica scendiamo a riveder le stalle degli atteggiamenti e delle movenze, degli sguardi e dei sorrisi, dei bronci e del pensoso scuoter di testa dei politici riusciamo a capire quanto di elaboratamente complesso sia il ‘porsi’ dell’homo politicus che si offre al giudizio del riguardante.
La notte del trionfo di Emmanuel Macron ciò che determinava il senso della vittoria era il passo marziale del vincitore che percorreva il cortile del Louvre in attesa di raggiungere il palco dove avrebbe raccolto il suo trionfo. Pantaloni stretti, cappottino parigino, imponenti scarpe che calzavano altrettanto imponenti piedi: en marche! L’esilità del corpo contraddetta dal piede grande, austero e ritmante.
Chi per un attimo non è stato attratto dalla vibrazione quasi impercettibile ma determinante del baffetto dalemiano? O dalla superficie lustra del capo implume di Bersani? O dal colorito scuro di Di Maio che rivela una spiccata e incontrovertibile ascendenza mediterranea? I boccoli di Grillo accuratamente vaporosi incorniciano un viso, come dire, modesto, proprio di una persona qualunque. Di fronte poi al giallo paglierino della capigliatura di ‘the Donald’ ogni commento è vano. Come davanti alla preoccupante espansione delle maniglie dell’amore che orgogliosamente sono esibite sotto la bianca camicia di Matteo Renzi.

Gli indicibili commenti che persone anche colte hanno espresso sulla scelta di Caproni come poeta da commentare alla maturità, lasciano senza fiato. Quando detti la maturità il terrore era che si desse al Novecento uno spazio per noi quasi sconosciuto. Chi era Montale? O Ungaretti ? Lontanamente affioravano i ricordi dannunziani e Croce imperava con De Sanctis come l’espressione della critica più autorevole E dal lontano 1956 non ricordo nemmeno l’argomento del tema di letteratura. Come pure dell’orale. Neppure ricordo il viso del/a esaminatore.
Ma se improvvisamente guardiamo con attenzione coloro che hanno determinato il senso di un mondo o della sua cultura allora capiamo molte più cose. Nel 1962 l’incontro con Bassani a casa di Stella dell’Assassino a Ferrara per la presentazione nazionale del ‘Giardino dei Finzi-Contini’. Era, il suo, un viso inquieto con gli occhi che sembravano errare per la sala e t’inchiodavano a seguirti nel breve discorso ritmato da una leggera balbuzie. O l’improvviso scatto della testa di Elsa Morante mentre procede per via del Corso a ricacciare indietro i capelli che osavano nasconderle gli occhi di giaietto. O le improvvise tenerezze di Ronconi che nell’allestimento di ‘Orfeo ed Euridice’ di Gluck dà un buffetto all’ispido Riccardo Muti. O alla voce di Walter Binni che leggendo ‘Alla sera’ di Foscolo assumeva tonalità da contralto. O ai capelli della divina Martha Argerich sempre più grigi e amorosamente ricomposti come un manto da imperatrice dopo un allegro o un con brio.
Ora non è il momento di questi moti del corpo e, forse, restano solo a ritmare le opere ei giorni di un’Europa che non vuole unirsi le giacche colorate della Merkel: inesauribili.

Frattanto nella banalità della sfida del ballottaggio, quando ormai tutti dicono (e pensano) le medesime cose e incredibilmente B. ripropone a distanza di decenni la stessa filosofia che cova nel suo animus – sempre più risolventesi in sorrisi crudeli e in vocione da vecchio nonnetto assurdamente vestito, come se dovesse recarsi a un matrimonio imminente, come una luce folgorante – ecco il reportage di Francesco Merlo su ‘La Repubblica’ del 23 giugno. Parla di Genova e quelle righe spaziano dovunque: da via del Campo ai cantautori, dai poeti agli operai, da Renzo Piano ai frequentatori del quartiere dei trans o degli immigrati. Allora ti accorgi che i moti del corpo diventano modus vivendi e sai che della scrittura mai potrai farne a meno.
Un pensiero commosso e riverente a quella persona che ha saputo insegnarmi tanto e nel comportamento e nella espressione del suo magistero politico: Stefano Rodotà.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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