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L’affidarsi alle tecniche sadomasochistiche è una pratica che sta impazzando sulla rete e sui giornali. Si analizza l’inaudita relazione di Macron con la sua professoressa, ora moglie e candidata al ruolo di première dame, come un classico esempio di pedofilia. Naturalmente non sono accusati di reato simile il B. con le sue numerose alunnine o il ciuffo di paglia americano con le sue mogliettine sempre più giovani.

Ma volete paragonare l’asciutta, virile, macha consapevolezza che insegna e diffonde a furor di stadio che non è che donna vecchia fa buon brodo, ma lo fanno solo le gallinelle di prima piuma?
E la moralità?
Seriosissime signore che (forse) pensano come ad una ghiottoneria farsi il ragazzetto, ma poi secondo bon ton starnazzano che è immorale una simile liason, urlicchiano in rete la loro disapprovazione. Al solito le parole più sagge e straordinarie vengono da una specialista di comportamenti e di cinema, la sempre grande Natalia Aspesi, che sottilmente fa un parallelo tra quella che al momento è la ‘vecchia’ più affascinante del mondo, Isabel Huppert, e la (speriamo) futura prima signora di Francia. E a tutti consiglio il film più consapevole del problema: ‘Il condominio dei cuori infranti’ reperibile in rete.

Altri due argomenti di primaria importanza, ma senza paragoni al confronto del delirio del ‘Forza Spal’ classicamente pronunciata con al ‘elle’ ferrarese, riguardano il boccoluto signore dei 5Stelle e il suo rapporto con la stampa. L’analisi che ne fa Sebastiano Messina su ‘La Repubblica” del 27 aprile è rivelatrice. Le ingiurie e i commenti che il mister genovese pronuncia oracolarmente contro stampa e giornalisti ci dicono spietatamente a quale livello culturale ed etico si arrivi con le sparate dei giudizi grillini. Con feroce ironia Messina conclude: “Ora, vogliamo considerare tutto ciò ‘intimidazioni verbali’? Ma no, via. Erano battute, gag, scenette per farci ridere un po’. Perché Beppe Grillo, in fondo, è solo un comico. O no?”

Secondo Reporter senza frontiere il peso di Grillo nella libertà d’informazione sarebbe proprio l’intimidazione verbale.
Degno al solito di una lettura attenta il raffinatissimo commento di Francesco Merlo ne ‘La Repubblica’ della stessa data: “ Matteo da sei politico. I rivali ridotti a spalla”.
Ma prima di proseguire mi sembra onesto, politicamente onesto, dichiarare quale sarà il mio voto alle primarie del 30 aprile. Per fortuna, anche se suona come excusatio non petita, a quella data sarò a Dublino finalmente a vedere la grande mostra ‘Beyond Caravaggio’ assieme all’Associazione Amici dei musei e a Francesca Cappelletti preziosissima guida. Quindi anche se il carissimo amico Federico Varese indica il seggio dove si potrà votare a Oxford, lungi da me l’idea d’interrompere le magiche visioni di Caravaggio per andare ad esprimere con un voto la scelta di un candidato, nel caso specifico Orlando che dei tre sarebbe stato il prescelto, che non mi convince del tutto o quasi per nulla.

Ecco allora con soave perfidia il commento di Merlo che disapprova il miele sparso a cucchiaiate nelle dichiarazione dei tre candidati. Meglio sarebbe stato per tutti che non di educati competitors ci fosse stato bisogno cioè di “un vincitore e due spalle” ma di “ un pugnale sotto la cravatta” perché “Alla fine, Renzi che disperatamente cerca la nuova parola della sua rinascita, sia il mangiafuoco pugliese che crede nella bulimicrazia e fa il Masaniello illuminista, l’uomo di popolo, la risposta di sinistra al sempre più confuso vaffa del grillismo, e sia il vecchio ragazzo saggio che sognava di fare il muratore, hanno ricordato che i nemici sono Berlusconi e Grillo [vero!!!ndr], e che tra il vecchio autocrate di Arcore , e il ceffo di Grillo, è comunque meglio la democrazia stanca ma non ancora in liquidazione del Pd”

Cautamente ci si esprime nella città estense tra rievocazioni dell’ingresso delle truppe che liberarono Ferrara nell’aprile del 1945, cortei di cavalli e tante altre manifestazioni turbate in parte dalla polemica dell’Anpi e della brigata ebraica dove un delicatissimo problema diventa una dolorosa frattura che fa più danno che ragionevole volontà di ricomposizione.
Gli ‘umarèl’ assistono incuriositi ma turbati alle calibratissime parole che marcano l’assenso e il dissenso. C’è nell’aria una volontà di sopire, sedare. Gli stessi incontri in vista delle primarie sono poco frequentati o esprimono concordia.
D’altronde come distogliere i ferraresi dalle due vicende che incatenano l’attenzione e li estraniano da altri commenti e pensieri?
Da una parte la vicenda di Igor e dall’altra le magnifiche sorti e progressive della Spal.

Infine nell’aprile ventoso e piovoso una lieta sorpresa ha rallegrato il laborioso procedere nell’analisi delle pieghe più nascoste o meno studiate dell’opera e della vita di Giorgio Bassani. Nel giorno della morte di Gramsci ho avuto l’onore di parlare in Ariostea del rapporto tra lo scrittore ferrarese e il mondo politico. Rare volte mi sono commosso come a questa. Allievi, compagni, persone care e giovani che ti rallegrano perché pensi che non tutto è perduto allorché ci si misura con la Storia, quando la si sente ancora forza dominante e non inutile orpello da eliminare. E ripercorrere i momenti di una nobile scelta tra antifascismo, ebraismo e impegno civile della poliedrica carriera di Bassani ci fa riflettere sulla deriva pericolosamente sciocca di chi non ha più tempo né voglia di confrontarsi eticamente non solo con il presente ma con un passato che è garanzia del futuro. Siano essi politici, opinionisti, economisti ma soprattutto coloro che si spacciano o vogliono indossare i panni dell’’intellettuale’. Una brutta parola ormai il cui vero significato andrebbe ricercato in quei padri che stiamo tradendo non perché la rivolta non debba essere la caratteristica del figlio ma perché rivolta non è.
E’ solo opportunismo.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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