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Esco dal cinema ancora scosso dalla visione di un capolavoro quale il Macbeth di Justin Kurzel con gli immensi Michael Fassbinder e Marion Cotillard. La sala ovviamente semi-vuota pian piano si riempie dai respinti alla visione di Quo Vado e di Carol. All’inizio sussurrii e luci a intermittenza delle protesi smartphone o dei telefonini usati per far passare il tempo poi, dopo la grandiosa scena della prima battaglia, un silenzio stupefatto che dura fino alla fine del film e visi che esprimono rispetto e condivisione per un’arte scoperta quasi per caso e che inevitabilmente ti rapisce e ti conquista. E mentre Lady Macbeth pronuncia il grande monologo che invita l’ormai folle compagno a trovare riposo nel sonno scatta il ricordo e nella mente risuona la voce della divina Callas che sulle note di Verdi canta “A letto, a letto…Sfar non puoi la cosa fatta. Batte alcuno! Andiam, Macbetto, non t’accusi il tuo pallor.” Dove perfino la sgangherata versione di Francesco Maria Piave del nome del re dannato tradotto con l’imbarazzante ‘Macbetto’ per ragioni di rima, viene riscattata dalla voce sublime. Una voce onirica come onirico è tutto il film che più s’indurisce nelle violenze delle battaglie, degli assassinii, delle crudeltà, più perde peso e si sfa nei paesaggi sontuosi, nello scorrere di una natura magica e leopardianamente indifferente nella sua intangibile bellezza tra i laghi e le brughiere di una Scozia inventata eppur così reale.

Nell’uscire dal cinema e ritrovando una folla ancor più imponente e delusa di non poter accedere all’evento Zalone ripenso alle parole di Matteo Felpetta Salvini dichiarate ai giornalisti a cui confida un suo modello di governo dove a presiedere il Mibact porrebbe il fortunato comico al posto di Dario Franceschini. La cagione? Ma è semplicissima! Il ministro attualmente in carica sarebbe un uomo “triste” mentre si sa il comico ‘à la page’ fa ridere. E tanto.
Più che il ministro il quale immagino avrà sghignazzato dell’improvvido giudizio spero che la reazione di Zalone sia stato un moto di stizza provocato dall’offesa. Dunque a proteggere e a dirigere e a far funzionare l’unica vera immensa risorsa che abbiamo quale quella dei Beni Culturali basterebbe saper far ridere?
Ma andiamo onorevole Salvini! Cerchi di essere meno irruento nelle sue dichiarazioni. Se proprio vuole l’invito ad andare a vedere Macbeth. Non se ne pentirà.

L’immagine dunque trasmessa dal messaggio al fedele pubblico degli ‘Itagliani’ è quella di un Paese che si deve accontentare di ciò che piace ai più mentre in questa stagione di feste e ricorrenze non importa tanto la qualità della cosa o dell’evento di cui si vuol fruire quanto la quantità di chi accorre per poter dire orgogliosamente “io c’era!”. Sembra quasi che la bellissima mostra di de Chirico sia appunto bellissima perché nei due giorni di festa ha raccolto diecimila presenze.
Ovviamente non per tutti è così, anzi immagino che poi per tanti l’esposizione abbia riscosso la dovuta ammirazione come il Macbeth filmico per l’intrinseca potenza e qualità dei quadri che illuminano la verità-realtà del mondo quanto le parole di Shakespeare.
Per queste ragioni non vogliamo accontentarci della proposta di far ministro Checco Zalone non tanto per la sua indubitabile verve comica quanto perché la cultura non s’amministra con la risata.

Ricordo ancora che, quando al caro amico Riccardo Muti fu avanzata la proposta di ricoprire importanti incarichi di governo, rispose che “a ognuno il suo”, come avrebbe scritto Leonardo Sciascia. E forse anche in questo campo sarebbe utile che anche Beppe Grillo una volta per tutte scegliesse o la via dell’attor comico o quella del politico o dell’organizzatore della politica.
Dunque “Passata la festa gabbato lo santo” sentenziava il proverbio popolare. Rimangono i saldi che ci occuperanno per i prossimi tre mesi poi il tran tran quotidiano ci assorbirà facendoci dimenticare o relegandoli in una specie di onirismo cupo quasi irreale i conflitti, le guerre, le minacce atomiche e ancor più vergognosamente le morti dei bambini in fuga, le armi vendute per alimentare il mito fondativo della conquista di una Nazione e divenute disputa orrenda siglata dal ciuffo ossigenato di Trump e dalle lacrime di Obama. E nella nostra realtà locale la vicenda Carife, il palazzo degli Specchi, il licenziamento di Fiorini e le più piccole e velenose dispute che sembrano ineliminabili dal comune concetto di ferraresità.
Perciò si rende necessario un augurio. Sentito. Amichevole. Per tutti amici e nemici. Che il 2016 sia almeno migliore anno di quello che è appena finito.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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