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Il silenzio, questo sconosciuto. La tranquillità delle orecchie (e non solo), tempi lontani.

Quasi un quinto degli europei soffre di disturbi sonori dovuti al rumore proveniente dalla strada o prodotto dai vicini: la proporzione è doppia per chi vive in città rispetto a chi sta in campagna, e diminuisce a seconda del numero di persone che vivono in casa. Gli italiani sono sotto la media Ue per i fastidi provocati dai rumori molesti. E’ quanto emerge dai dati Eurostat relativi al 2016. Secondo questi, il 17,9% degli europei è vittima del rumore: il 23,3% nelle aree urbane e il 10,4% in quelle rurali. Gli italiani che patiscono di disturbi sonori sono invece il 16,2%, mentre erano il 18,3% nel 2015. I Paesi dove la gente si lamenta di più del rumore, ovvero circa una persona su quattro, sono Malta (26,2%), Germania (25,1%) e Olanda (24,9%), seguiti da Portogallo (23,1%), Romania (20,3%), Grecia (19,9%) e Lussemburgo (19,7%). Lo stato più ‘silenzioso’, con il minor numero di ‘problemi sonori’, è invece l’Irlanda (7,9%), seguito da Croazia (8,5%), Bulgaria (10%) ed Estonia (10,4%). In generale, a livello Ue ad essere più sensibili al rumore sono i ‘single’, con il 20,8% di persone che si sono lamentate dei vicini o della strada, poi le coppie, con il 17,8%, e infine le famiglie più numerose, con il 16,6%. In particolare, il 18,4% delle famiglie senza figli è infastidita dal rumore, mentre la percentuale scende al 17,5% per quelle con figli.

Sono i dati che ANSA pubblica il 2 gennaio 2018, dati attuali, che fanno riflettere. Da non credere, ma proprio durante le vacanze natalizie pensavo all’importanza del silenzio, a quanto mi mancava, alla sua insostituibile funzione terapeutica, a quanto il rumore sia ormai il primo insopportabile e fastidioso compagno quotidiano di molti di noi. Troppi. Non per nulla durante la pausa festiva mi sono dedicata, fra gli altri, alla lettura de ‘Il silenzio’, di Erling Kagge (Einaudi, 2017, 120 p.) e di ‘Elogio del silenzio. Come sfuggire al rumore del mondo’, di John Biguenet (Il Saggiatore, 2017, 176 p.).

Kagge ricorda come, in media, perdiamo la concentrazione ogni otto secondi e come la distrazione sia ormai uno stile di vita, l’intrattenimento perpetuo una brutta abitudine che ciascuno ormai ha preso. E quando incontriamo il silenzio, lo viviamo come un’anomalia, come un qualcosa di strano ed estraneo che non ci aspettiamo: spesso, invece di apprezzarlo, ci sentiamo a disagio e persi. Erling Kagge, al contrario, del silenzio ha fatto una vera scelta di vita. Nei mesi passati da solo nell’Artide, al Polo Sud o in cima all’Everest, ha imparato a fare propri spazi e ritmi della natura oltre che a immergersi in un silenzio interiore ed esteriore: un incommensurabile tesoro e una fonte di rigenerazione che tutti possediamo a cui è però difficile attingere, immersi come siamo nel frastuono, nel chiacchiericcio (e nel rumore continuo) della vita quotidiana. Ma che cos’è veramente il silenzio? Dove lo si può trovare? E perché oggi è tanto importante? A queste tre domande Kagge fornisce trentatré possibili e interessanti risposte, riflessioni scaturite da esperienze, incontri e letture, tutte animate da un’unica certezza: che il silenzio sia la chiave per comprendere la vita. Cercare il silenzio. Non per voltare le spalle al mondo, ma per osservarlo e capirlo. Perché il silenzio non è un vuoto inquietante aldilà della nostra portata ma l’ascolto dei suoni interiori che abbiamo sopito e dimenticato. Magari non riconosciuto.

Anche John Biguenet si domanda cosa sia il silenzio. Se una semplice assenza di suono, un’estrazione del pensiero o se, come scrisse Saramago, in realtà non esista, perché anche la nostra voce e i nostri pensieri riflessi in noi, in fondo, hanno un suono, quasi un’eco. Quello che è certo è che in esso si possono riordinare pensieri scossi dai ritmi frenetici di ogni giorno, trovare pace da delusioni, incertezze, soprusi, ingiustizie. Riposare. Mentre oggi la scienza, ricorda l’autore – attraverso gli esperimenti con la camera anecoica (ambiente di laboratorio strutturato per ridurre il più possibile la riflessione di segnali sulle pareti. Il termine, dal greco, significa infatti “privo di eco”) – pone in dubbio la sua reale esistenza, autori come William Shakespeare, Laurence Sterne, Mark Twain, Edgar Allan Poe e Rainer Maria Rilke, e pittori come Mark Rothko e Marcel Duchamp, si sono interrogati sul significato del silenzio e sulla sua rappresentazione in letteratura e arte. Biguenet in questo bellissimo libro indaga le mutevoli sembianze del silenzio: premio o punizione, arma letale o strumento di resistenza, vuoto da riempire o sensazione di pienezza, bene di lusso o disturbo da evitare. Il silenzio è oggi spesso, e sempre di più, prerogativa dei ricchi, continua l’autore. Di chi può avere il privilegio oltre che i mezzi per vivere lontano dal rumore che non produce, da sferraglianti rotaie, da fabbriche chiassose o da roboanti autostrade. Alcune automobili di lusso vengono prodotte a rumore quasi zero, le lounge silenziose degli aeroporti sono prerogativa di pochi. Anche gli scompartimenti silenziosi dei treni costano di più, laddove è proibito il telefonino o parlare a voce alta. Lo stesso dicasi per atolli isolati o alberghi intimi abilmente e unicamente posizionati in luoghi lontani dalla folla e immersi nella natura. Sembrerebbe proprio che chi è più povero è più rumoroso, o meglio che abbia meno diritto al silenzio. In un mondo febbrile, snervante, sfiancante, rumoroso e caotico, sempre più spesso il silenzio sa esprimere meglio delle parole le passioni umane. Inseguirne l’incantesimo e la magia è oggi il modo migliore per curarci di noi stessi. Un privilegio?

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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