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“L’ultima finitura poi, nella quale si scorgeva la sottigliezza di un’arte e esperienza di secoli, stava dandola il reggitore della famiglia, l’anziano, che ripassava attento e leggero, in punta di vanga, le scoline. Striavano queste, rete varia e capricciosa, dietro infinite vene d’acqua da seguire o attrarre o respingere, da arginare e da raccogliere; striavano le fette di quel grigio, forte e fertile limo di Po, che ormai era pronto, assestato, sminuzzato delicatamente; e odorava di un sottile sentore di terra asciutta. Il contadino aveva l’arte avita di riconoscere a palmo a palmo, da un colore della zolla, da un filo di erba vegetata, quasi al fiuto, i più lievi indizi dei minimi tratti dove affiorava acqua interna, o dove ristagnava la piovana a far pozza, con danno futuro del frumento e della canapa. Sulla traccia di tali indizi, apriva con la vanga piccoli solchi, rigagnoli, e meno che rigagnoli, lievi ed accorti inviti all’acqua delle piogge autunnali e delle nevi invernali e degli acquazzoni primaverili, che fluisse alle scoline, ai fossatelli ed ai fossi. Egli era di quelli che sapevano, per antica scienza istintiva, aprire e mantenere senza aiuto di strumenti un declivio di pochi pollici in un solco lungo centinaia di passi. Era l’ultima rifinitura delle terre, dunque, innanzi d’aprir la bocca al sacco delle sementi scelte; innanzi di tornarvi sopra per l’ultima volta a spargere con il gesto largo e regolato del seminatore in testa alla fila dei lavoranti, uomini, donne, ragazzi, che, rastrellando e zappettando con mano leggera, ricoprivano il seme, sotterravano, a che germogliasse, la speranza dell’annata. Finalmente, su ogni fetta seminata veniva piantata una croce di legno o di stelo di canapa, benedetta dal prete.” (Riccardo Bacchelli, “Il mulino del Po” volume secondo, capitolo VII).

La piena del Po è passata, ormai non fa più notizia. Passiamo oltre e dimentichiamo il problema, lo nascondiamo come polvere sotto il tappeto, in attesa di un’altra emergenza che ci metta di fronte alla nostra stupidità. Un problema, sempre lo stesso da anni, qui, lungo gli argini maestri del nostro grande fiume, come in tutte le altre zone sinistrate d’Italia, che si chiama: acqua. Noi siamo acqua, viviamo grazie all’acqua e l’acqua è sacra come sacra è la terra. Gli antichi imparavano a loro spese che a queste divinità bisognava chiedere il permesso per abitare. Il permesso era concesso quando gli uomini imparavano il rispetto della terra e dell’acqua attraverso un’esperienza diretta, brutale, che non lasciava alternative. Questa esperienza diventava cultura.
Una cultura vera, specializzata e molto raffinata, fatta di mille mestieri, come quello descritto da Bacchelli in questa pagina straordinaria, di colui che conosceva “l’arte” di tirare i tracciati delle scoline più fini, il primo elemento di una gerarchia di canali che disegnava la terra della pianura, e sapeva ottimizzare il drenaggio, aiutando l’acqua, nei momenti di abbondanza, a scendere verso i fiumi senza fare danni. Ogni volta che leggo questa pagina mi colpiscono le parole e gli aggettivi che sottolineano la gentilezza verso la terra, la mano di chi la lavorava doveva essere leggera, sottile, attenta, come la mano di un amante che accarezza la sua donna. Siamo diventati dei bruti violenti e la terra ci ripaga con la stessa moneta, nessuna meraviglia, solo la consapevolezza delle migliaia di occasioni sprecate, dello sperpero incalcolabile di denaro pubblico, della colpevole ignoranza e della ipocrisia schifosa e feroce che ci tocca ascoltare nei piagnistei di chi ha sprecato l’occasione di valorizzare questa conoscenza antica, con le tecnologie e i mezzi che abbiamo oggi a disposizione.

Foto di Francesca Vincenzi

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
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Francesco Monini
direttore responsabile


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