Skip to main content

Un tempo era ‘delazione’, ‘spionaggio’, ‘denuncia anonima’, ‘calunnia’, ‘indagine segreta’. Oggi è diventato ‘dossieraggio’. Un termine semanticamente più soft nel tentativo di apparire politicamente corretti, anche se proprio di politica si tratta e sulla correttezza in politica non mettiamo la mano sul fuoco. E se accanto alle parole delatore e spia abbiamo introdotto il termine di nuovo conio ‘whistleblower’ (colui che soffia nel fischietto), non dimostriamo altro che l’antica prassi continua, anche se quest’ultimo dovrebbe essere un delatore a fin di bene, difensore degli apparati burocratici contro vessazioni psicologiche, illeciti e corruzione, una figura addirittura istituzionalizzata con tanto di legge recentissima.

Una storia lunga, quella dell’accusa anonima, perché la pratica della delazione associata inevitabilmente all’omertà e alla vigliaccheria è antica come l’uomo. Ricerca di giustizia o del consenso screditando l’avversario? C’è sempre una grande ambiguità, spesso una mistificazione, in questi comportamenti che tendono sempre al raggiungimento del potere in forme e modi così sottili e subdoli da spostare frequentemente il confine tra la correttezza etica e l’immoralità. Nonostante i mascheramenti o i tentativi di far apparire legittimo e nobile ciò che è deprecabile, la delazione rimane comunque un segno di stupidità morale, una lacuna interiore, indifferenza profonda verso l’umanità, un dito puntato impietosamente verso ciò che non si vuol capire, un liquidare sbrigativamente chi ci ostacola nei nostri propositi o ambizioni, annullando in tutto questo le relazioni umane.
“Una lince che gira sempre, con occhi che trapassano le muraglie ed esplorano gli abissi”, scrisse Giulio di Saint Felix in ‘L’ultima cena di Nerone’ (1837) e mai definizione più calzante fu scritta. Nella Roma antica, Tacito si scaglia contro i delatores e parla di un’arma politica a contenuto ricattatorio, molto diffusa nel Senato dove i senatori appaiono disposti a tutto per salvare la carriera. Nel periodo d’oro dell’Impero, vennero creati dei veri e propri apparati di intelligence affidati ai pretoriani e con l’Imperatore Tiberio la delazione raggiunse l’apice della sua nefasta efficienza. Egli fece uccidere stuoli di presunti traditori, ne fece arrestare i figli e stuprare le figlie, sulla base di confidenze prezzolate. Contro questo perverso costume tuonarono invece Costantino e Teodosio che proibirono severamente questa pratica, pena la riduzione in schiavitù o addirittura la pena capitale se il colpevole fosse alla terza delazione.

Le tristi pagine del Medioevo sono note a tutti e il delatore assunse in quest’epoca il ruolo del buon cattolico, ligio e premuroso nell’accusare sospettati di eresia, stregoneria e altro. Il sistema inquisitorio dei famigerati tribunali dell’Inquisizione era basato sulla delazione, il sospetto, il carcere preventivo, l’interrogatorio con tortura e il segreto processuale. Repressione e intolleranza segnano per sempre quelle pagine di Storia di oscurantismo, ignoranza e superstizione. Le comunità ebraiche furono particolarmente colpite dalla furia dell’Inquisizione e le popolazioni erano invitate a prestare attenzione a ogni segnale che potesse rivelare la pratica della religione ebraica: accensione di lampade o candele nuove il venerdì sera, cambio di biancheria e pulizie il sabato, astensione da certi cibi, digiuni in giorni diversi dal cristianesimo, mangiare il sabato cibo cucinato il giorno prima, uccisione di polli con il taglio della gola, dare ai bambini nomi dell’Antico Testamento. Nella Spagna del 1488, oltre 700 roghi nella sola Siviglia, cui vanno aggiunti ergastoli, disseppellimenti, roghi in effige, attraverso l’invito pressante e massiccio alla delazione. Della Repubblica di Venezia, famoso rimane il mascherone in bassorilievo sul Palazzo Ducale che raccoglieva al suo interno le delazioni che rivelassero chi occultava proventi da cariche e privilegi, la propria redditività ai fini fiscali.
Nell’Ottocento, sotto il dominio degli Austriaci in Italia, si istituzionalizzarono due forme di delazione: quella pubblica in cui il denunciante si esponeva di persona e quella segreta da parte dei vigilatori pubblici, tutelati nella loro veste di servizio. La delazione veniva vista come prevenzione al crimine, mentre quella riguardante gli aspetti etico-morali riguardanti la vita privata del cittadino non veniva vista di buon occhio. Per non parlare poi del ruolo e degli effetti della delazione in tempi più recenti, nelle grandi dittature del Novecento. Nella Russia staliniana la delazione caratterizzava la massima prova di patriottismo, la prova decisiva dell’attaccamento all’ideale comunista. Emblematico il caso del giovanissimo Pavel Morozov che denunciò il padre con l’accusa di nemico del partito e di aver protetto alcuni kulaki, i contadini che si erano opposti alla collettivizzazione finendo poi nei campi di lavoro del Gulag. Il ragazzo morì a bastonate, colpito dai parenti del padre e questa morte venne celebrata e esaltata dal regime elevandolo ad eroe. A questo fatto seguirono, tragico effetto domino, molte altre denunce. Lo scrittore Michail Bulgakov nei suoi ‘Racconti’ (1925) confiscati all’epoca dalla censura, ricorda il periodo di tenebre dominato dalla propaganda e dalla delazione e nel suo pessimismo la lancinante consapevolezza dell’impossibilità di creare un mondo nuovo su queste premesse. Durante il Nazismo e il Fascismo la delazione gioca un ruolo fondamentale nell’individuazione e persecuzione degli Ebrei. Il delatore poteva essere chiunque: il vicino di casa, il portiere, i familiari, il negoziante. Potevano essere anche quei falsi amici che per soldi estorcevano informazioni utili al regime o assoldati dal regime stesso. Delazione, il cancro dei totalitarismi. Molti delatori furono processati, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, come collaborazionisti. Esiste una blacklist dei delatori presso la Comunità Ebraica di Roma, che rimane a disposizione di studiosi e ricercatori, ricordando per sempre il sangue versato, l’immane sofferenza causata e il dolore delle generazioni a seguire che non potranno dimenticare. ‘La delazione’ di Roberto Cazzola (2009) è un romanzo incentrato sull’effetto e le conseguenze della delazione e sul senso della memoria. Ambientato nella Torino del 1944, racconta la storia d’amore tra l’interprete ebrea Selma Lavàn e l’ingengere Alfredo Dervilles, interrotta drammaticamente e improvvisamente da una denuncia che la individua come ebrea, intrappola e condanna Selma. La giovane viene strappata alla sua vita e condotta al campo di concentramento di Bergen Belsen in seguito alla delazione di una ambiziosa e sradicata diciassettenne vicina di casa. La domanda che percorre e aleggia nel romanzo è: perché Luigia Zonga ha denunciato Selma?
Perché? La strada della delazione è cosparsa di viltà, fragilità, bisogno di denaro, falsi ‘who is who’, ambizione, pretese politiche, mancanza di scrupoli, cinismo, falsi ideali e stupido zelo. Qualche rigurgito è rimasto anche oggi. La parola ‘dossieraggio’, accompagnata dall’esortazione da parte di qualche forza politica alla raccolta di informazioni su qualunque aspetto di vita pubblica e privata per bruciare l’avversario politico e rendere apparentemente il terreno più facile, non regge più. Non è questo il modo per chiedere pulizia, onestà e sani diritti per una buona governabilità, perché se così non fosse, pagine di roghi, processi e giustizia sommaria, menzogne e tradimenti non sarebbero serviti ad arrivare alla vera civiltà. Per dirla con lo scrittore Georges Bernanos: “ Il regime dei sospetti è anche il regime della delazione”. E questo non ci piace.

tag:

Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it