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Sono stati giorni impegnativi per i docenti d’Italia, uniti (quasi) tutti contro la “buona scuola” del presidente Renzi. Tra il tanto parlare, cortei e minacce, ho avuto la possibilità di capire come dovrebbe realmente essere una scuola degna di definirsi buona. L’esempio di unione e cooperazione per lo svecchiamento di un edificio scolastico pubblico, per il bene dei più piccoli, è stato dato dal preside, dalle insegnanti e dai genitori della Scuola primaria “Biagio Rossetti”, in via Valle Pega. Lo scorso settembre, rientrati dalle vacanze estive, i docenti ebbero una triste sorpresa, perché, a causa di alcuni tagli comunali, i lavori di imbiancamento promessi erano stati rinviati. La maestra Laura Lodi, referente del plesso, mi racconta che, stanchi di vedere le mura imbrattate e le aule spente e senza vita, in collaborazione con le altre maestre e con il preside Massimiliano Urbinati, decisero di contattare i genitori dei bambini per trovare insieme una soluzione.

“E’ stato un progetto sviluppato in poco tempo – spiega Cristina Pellicioni, mamma e presidente del Consiglio d’istituto – ma studiato nei minimi particolari. Innanzitutto, serviva il consenso dei genitori, che sono stati subito entusiasti dell’idea, e anche tutte le autorizzazioni dal Comune, perché volevamo esser certi di fare tutto secondo le norme”.
L’ultimo fine settimana di settembre il gruppo di docenti e genitori, che si sono autotassati per poter acquistare tutti i materiali e le vernici, grazie alla gentilezza di un padre, Loris Rambaldi che le ha fornite a prezzo di costo, hanno iniziato i lavori. Donatella Rambaldi e Laura Lodi mi raccontano che i bambini, dopo i primi lavori, non avevano notato grandi differenze.
“Durante le prime due giornate ci siamo concentrati sulle grandi pulizie e abbiamo imbiancato le aule, quindi il lunedì successivo le classi erano più pulite ma sempre spoglie. I bambini forse si aspettavano subito dei risultati. La vera sorpresa per loro è stata a lavori finiti, dopo il primo fine settimana di ottobre. Erano estasiati, volevano essere accompagnati nelle aule dei loro compagni e vedere cosa cambiava. Hanno amato i nuovi colori e il loro atteggiamento nei confronti dell’ambiente è cambiato: si curano sempre che i banchi non tocchino le pareti e cercando di mantenere tutto pulito”.
Immaginate delle aule tutte uguali, spoglie, con le pareti macchiate dagli anni e tinte di un marroncino spento e cupo. Ecco, ogni stanza adesso racconta una storia: le porte colorate ti invitano ad aprirle per scoprire piccoli mondi tinti di lilla, verde, giallo e turchese, pieni di vita e di disegni. Il lavoro di coordinamento e di mano d’opera più complessa è stato gestito da Loris, esperto nel settore.
“Ci siamo occupati anche degli arredi di ogni stanza, perché volevamo che anche gli armadi e la cattedra fossero ben integrati con il resto della stanza. Io ho un colorificio e negli anni mi sono appassionato alla bioedilizia e al restauro, quindi sono stato ben felice di partecipare al progetto “Over the rainbow”, perché so bene che i bambini reagiscono ai colori in modo diverso dagli adulti. I docenti hanno scelto la tinta della loro aula con cura, basandosi sugli studi dei colori per stimolare l’attenzione dei più piccoli. E’ stato possibile acquistare una nuova libreria grazie alla donazione dell’associazione Auser e speriamo di ricevere delle donazioni anche per il prossimo progetto”.
I lavori non sono ancora terminati: dopo l’aula giardino, in cui i bambini curano le piantine portate dalla maestra o dai genitori, e l’aula “arcobaleno”, il prossimo passo è dedicarsi agli spazi comuni, come corridoi, bagni e la mensa scolastica e il preside Urbinati vorrebbe estendere il progetto al di fuori della scuola primaria.
“Io vedo la scuola come una cooperativa, in cui c’è collaborazione tra coloro che ci lavorano e i genitori, perché l’educazione che si impartisce in queste stanze ha successo solo se combacia con quella insegnata a casa. Abbiamo deciso di creare il progetto “Over the rainbow” perché ripristinare la qualità della vita nell’ambiente di lavoro significa migliorare le prestazioni. Sono compiti che spetterebbero alle istituzioni pubbliche ma o si aspettano gli enti locali o si cerca di creare qualcosa da soli. Secondo me la buona scuola è proprio quella che parte dal basso e, con questi gesti, cerca in tutti i modi possibile di migliorarla. Spero che il progetto venga accettato con lo stesso entusiasmo e partecipazione anche dai genitori del Bombonati e della Dante Alighieri”.

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Chiara Ricchiuti

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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