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In Regione abbiamo una nuova legge sui rifiuti, importante e impegnativa. Forse troppo. Gli obiettivi infatti sono chiari, ma bisogna definire meglio come raggiungerli. Parliamone.
Entro il 2020 si punta a ridurre la produzione pro capite dei rifiuti urbani dal 20 al 25%. Ottimo proponimento, che richiede impegni forti in termini di prevenzione, riduzione, minimizzazione, riuso, che però la cultura del rifiuto e il mercato non rispettano. Per ora i rifiuti sono infatti diminuiti solo per la crisi economica o perché i criteri di assimilabilita’ li hanno catalogati tra gli speciali. Eppure senza una politica seria di prevenzione difficilmente si riesce a ridurli.
Si deve raggiungere almeno il 73% di raccolta differenziata e riciclare almeno il 70% di alcune materie (carta, metalli, plastica, legno, vetro e organico). Tema avviato molti anni fa con il decreto Ronchi e mai perseguito con sufficiente impegno e soprattutto senza mai premiare chi la fa e punire chi non ci crede. (Nota personale: ho sempre pensato che la sostenibilità richieda una regolazione economica).
Il concetto chiave della nuova legislazione regionale sta nel principio, proposto molti anni fa dall’Unione europea, del “chi inquina paga” e si agisce sulla cosiddetta “ecotassa”, il tributo speciale per il conferimento in discarica: il 1^ gennaio 2017 scatterà un aumento del 20% (però il ricavato poi si disperde in tanti finanziamenti, non tutti sull’ambiente).
Contestualmente, si punta concretamente sulla “tariffazione puntuale: entro il 2020 si pagherà in base all’effettivo servizio erogato (i rifiuti effettivamente conferiti) e non più in base ai metri quadri dell’abitazione o al numero dei componenti della famiglia. Il principale criterio di efficienza sul quale valutare i vari sistemi di gestione sarà la riduzione dei rifiuti non inviati a riciclaggio, premiando i Comuni che invieranno meno rifiuti in discarica rispetto al dato medio regionale. Questo parametro sarà assunto anche per ripartire il fondo incentivante, tenendo conto degli “abitanti equivalenti” (oltre ai residenti, i cosiddetti city users). La disciplina dei sistema di raccolta dei rifiuti rimane prerogativa dei Comuni.
Passiamo poi agli impianti, che (per fortuna) in Regione non mancano.
“Si deve minimizzare il quantitativo di rifiuti urbani conferito in discarica (meno di 150 chilogrammi annui per abitante). Le materie raccolte in modo differenziato dovranno essere conferite in impianti in grado di favorirne la massima valorizzazione economica e ambientale; la scelta di tali impianti andrà effettuata tramite gara pubblica. Fino al 31 dicembre 2019 il fondo di incentivazione alla prevenzione e riduzione dei rifiuti verrà destinato per metà a diminuire il costo del servizio di igiene urbana degli utenti dei Comuni che nell’anno precedente hanno prodotto quantitativi di rifiuti non inviati a riciclaggio inferiori al 70% della media regionale registrata, e per l’altra metà a ridurre i costi di avvio della raccolta porta a porta, o sistemi equipollenti, capaci di analoghi risultati di riduzione dei rifiuti non destinati a riciclaggio. Infine, si stabilisce che gli strumenti incentivanti previsti dalla nuova normativa prevedano premialità per le imprese che innovino il ciclo produttivo e prodotti per ridurre la produzione di rifiuti”.
Sono frasi raccolte dalla giusta soddisfazione del consigliere regionale Mumolo che si è sempre impegnato su questi e altri temi strategici per l’Emilia Romagna. A ciascuno di noi la valutazione se questo sia sufficiente. Personalmente ritengo che un punto dolente continui a essere la regolazione e la forza di un’autorità competente e determinata, che non raccolga gli umori politici e che sappia incidere concretamente. A livello nazionale, sul gas l’Aeeg sta svolgendo un ottimo lavoro, ma sui rifiuti ancora manca una realtà di regolazione.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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