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Erano le nostre aziende municipalizzate. Le chiamavamo Amiu e Amga, erano pubbliche. Ora al loro posto c’è Hera, è quotata in borsa, il sindaco (come altri) ne vende le quote, e non capiamo più bene se sia ancora pubblica o privata.
In questi anni c’è stata una grande evoluzione del sistema dei servizi pubblici, avvenuta grazie all’intensa attività delle imprese ex-municipalizzate e alleanza da loro contratte, che hanno saputo sviluppare forti strategie aziendali e innovative politiche industriali. Le trasformazioni societarie, le alleanze, le nuove acquisizioni e soprattutto i processi di unificazione hanno infatti radicalmente modificato il quadro dell’offerta di un nuovo mercato competitivo nei servizi pubblici locali. Tutto questo non è certo una novità, ma rileggere questa evoluzione può essere utile.

E’ ormai avviata da tempo una nuova politica industriale nel settore: è in atto, assieme ad una rinnovata legislazione (che in verità propone cambiamenti da molti anni, con modesti risultati) e ad una crescente sensibilità collettiva sulle problematiche ambientali, una forte consapevolezza “industriale” di interesse economico-imprenditoriale. Il processo di trasformazione è avvenuto sicuramente da una spinta fortemente innovativa sia istituzionale che imprenditoriale orientata a favorire la realizzazione di sistemi integrati, la realizzazione di ambiti territoriali omogenei, lo sviluppo tecnologico ed impiantistico, il coinvolgimento industriale. Forse un poco meno il coinvolgimento dei cittadini.
Nel quadro di economie aperte abbiamo imparato con il tempo che bisogna avere una forte capacità di innovazione degli strumenti di governo del territorio e dunque delle istituzioni. E’ stata infatti necessaria una definizione dei progetti di sviluppo, una nuova ricerca di soluzioni ai problemi di coordinamento (di politiche, di strumenti e di risorse) e di compartecipazione (di soggetti pubblici e privati) a livello territoriale. Il ruolo dell’impresa di servizi pubblici è sicuramente stato una delle questioni di fondo della politica territoriale delle istituzioni. Bisogna allora saper distinguere tra imprese pubbliche (dunque con capitale pubblico) e aziende di servizi pubblici (di cui non interessa a chi appartiene il capitale, ma come e dove operano). L’impresa di servizi pubblici, infatti, è un’impresa che deve operare economicamente perseguendo fini collettivi e risultati sociali e quindi non è valutabile solo per fattori quali efficienza e profitto, ma in particolare modo per il contributo che può dare al benessere della società.

Il settore dei servizi ambientali sta dunque evolvendo verso una struttura reticolare in cui crescono i valori della dimensione di scala e degli ambiti territoriali ottimali come esigenza di integrazione. Attualmente le concentrazioni d’imprese, la politica industriale di miglioramento e la crescita dell’imprenditoria pubblica hanno prodotto crescita del valore, economie di scala ed efficienza economica che però non hanno avuto effetti positivi e benefici sulle tariffe applicate che aumentano sempre.
L’obiettivo generale è stato ed è quello di costruire grandi imprese o comunque alleanze tra imprese per favorire occupazione e investimenti in un settore ambientale sempre più qualificato e rispondente alle esigenze del territorio (tutela dell’interesse pubblico nel rispetto degli indirizzi comunitari), come ad esempio le principali aziende nel settore idrico: Acea con oltre 8 milioni di utenti serviti, seguito dall’Acquedotto Pugliese con 4 milioni, come anche dal gruppo Hera (che ormai rappresenta tutta l’Italia orientale mediterranea dal Friuli alle Marche), poi Iren con 2,4 milioni di utenti e Metropolitana Milanese e Smat rispettivamente con 2 milioni, poi A2A con 800.000.

Nel settore dei servizi pubblici ambientali si pone dunque in misura pressante la questione di quali siano gli strumenti che meglio possono offrire garanzie di qualità complessiva al consumatore. Impiegando diversi approcci, la letteratura economica ha tentato di verificare l’ipotesi che una gestione aziendale attenta alle tematiche inerenti gli effetti sulla qualità complessiva produca più valore di quel che costa e che se quindi aggiunge valore, allora va tutto bene.
Nel contempo però il quadro di riferimento nazionale sui servizi pubblici locali ha proposto una visione articolata e complessa con molti elementi di criticità e qualche prova di debolezza, soprattutto in relazione alla capacità di governo e di programmazione di questi servizi. Vi è dunque ancora un forte squilibrio territoriale, con enormi differenze Nord-Sud, e si è ancora in presenza di un mercato confuso, ma soprattutto vi è una pesante criticità nel sistema di regolazione economica dei servizi (scarsa cultura dei costi e delle tariffe del settore). Tariffe crescenti, aumenti di disagi, preoccupazioni di inquinamenti, ritardi nelle soluzioni e soprattutto scarsa fiducia. I cittadini hanno una percezione scarsa dei servizi, non si fidano delle capacità di risposta ai loro bisogni. Non è un giudizio, ma una constatazione.
La stessa evoluzione normativa e la definizione delle regole sono in palese ritardo, nonostante stia enormemente crescendo il livello di percezione dei cittadini della importanza dell’ambiente. Nonostante questo si può comunque rilevare che è in atto un processo di miglioramento o comunque di trasformazione. Si evidenzia nello specifico un sistema sufficientemente attivato per il ciclo idrico integrato (almeno sulla carta) e ancora un sistema frammentato, ma in evoluzione, per la gestione dei rifiuti.

In Emilia Romagna, forse meglio che da altre parti, il primo importante risultato raggiunto è stato la completa attivazione delle gestioni integrate, sia per il ciclo dell’acqua sia per la gestione dei rifiuti che, com’è noto, risultano essere una peculiarità della nostra regione. Sul piano delle gestioni, in particolare, si è andati ad una graduale eliminazione di quelle in economia e si è attivato con successo un profondo processo di graduale aggregazione che ha portato alla strutturazione di due grandi aziende di riferimento e a una crescente standardizzazione dei servizi per tutto il territorio regionale (un poco meno in questa provincia).
Partiamo dunque da un importante dato di fatto: in questa regione si sta meglio che altrove (qualità paragonata). Con orgoglio si può dire: merito di capaci amministratori, di qualificati gestori e di cittadini seri, ma questa piacevole consapevolezza non deve essere una giustificazione né un eccesso di autostima. Il dibattito rimane aperto.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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