Skip to main content

Le stazioni sono una mia vecchia passione. Potrei passarci giornate intere, seduto in un angolo, a guardare quel che succede. Quale altro posto, meglio di una stazione, riflette lo spirito di un paese, lo stato d’animo della gente, i suoi problemi? (Tiziano Terzani)

Sono le sette del mattino, un otto marzo come tanti, l’aria è fresca. Stasera probabilmente pioverà, ma per ora godiamoci il cielo terso e questi attimi di libertà che dal centro storico ancora addormentato mi accompagnano verso la stazione.
Da ragazzini sorridevamo a quel microfono che annunciava “Ferara, stazione di Ferara”, quella lontana erre sola e abbandonata che stamattina non sento e che tanto mi manca. Forse nostalgia di tempi passati, forse la giovinezza che si allontana. Allora, irriverenti, irrispettosi, impertinenti, prendevamo in giro quella voce che era sempre la stessa, del tutto ignari di chi fosse quell’omino dall’ugola potente che mai si stancava di ripetere sempre le stesse cose, se fosse un vecchio signore o un gracchiante disco registrato. Oggi la vorremo sentire di nuovo. Magari c’e’ ancora, anche se ne dubito, sono troppo spesso lontana per saperlo, ma guardo verso gli altoparlanti con tenerezza, sperando di sentire ancora quel signore. Seduti su una panchina della stazione la mattina si può guardare in giro e curiosare qua e là. Si può pensare, sognare, ricordare, immaginare, fantasticare. E poi è bello bighellonare, ogni tanto.
Ecco spuntare una locomotiva fumante, piantata li’, in mezzo ai binari, sembra anch’essa retaggio di altri tempi. E’ rossa fiammante, dal sapore antico e un po’ démodé, quasi una vecchia signora dal mantello porpora scolorito, certo che ne deve avere visti di passeggeri che, come me, seduti in un angolino, l’hanno guardata incuriositi. Sembra che chi vi armeggia intorno sia intento a pulire le rotaie, ma la fantasia può far immaginare qualsiasi cosa. Ricordi, anch’essa porta con se’ ricordi. Quanti. Chi non ha ancora nella mente e nei pensieri lo sbuffare della vecchia littorina che, lenta lenta faceva abbassare i passaggi a livello e lasciava che le nostre biciclette lucidate a nuovo attendessero impazienti il suo passaggio? Si voleva correre verso la campagna, liberi di respirare aria che non sarebbe mai stata più così pura e leggera, pedalare a perdifiato verso gli argini di un fiume padre che aspettava solo di vedere i nostri sorrisi mescolarsi con i voli delle capinere. E quella littorina, uffa, quanto era noiosa e pesante, quanto ritardava quegli slanci, quante intense scampanellate si prendeva, a testimoniare il nostro fastidio. Solo più tardi avrei scoperto che il soprannome littorina era derivato dal fatto che la corsa inaugurale del primo esemplare era avvenuta sulla linea Roma-Latina, all’epoca ribattezzata Littoria dal regime fascista. Per noi, allora, era un nome comune che aveva poco significato. Era lei e basta, la signora littorina, lenta e un po’ antipatica quando si frapponeva fra noi e la campagna, fra noi e i giochi che erano stanchi di attendere.
Oggi, osservando quel vecchio treno rosso sbuffante, intento a lavorare, vado indietro a quei giorni passati e un po’ mi mancano quei vagoni lenti da cui ci si affacciava quando non si era dalla parte della bicicletta. Mancano quello sferragliare impassibile e tenace, quegli sfrigolii stridenti. La stazione di Ferrara questa mattina e’ particolarmente malinconica, porta ricordi, porta pensieri che vanno lontano, va da nonni che non ci sono più, da amici che sono partiti. Tutto sembra fermo, in questa stazione, non sembra che i treni vadano e vengano, che fidanzati si siano ripresi e poi lasciati, che amici siano andati e ritornati, che il tempo scorra. Una coppia di anziani seduta dall’altra parte del binario mi guarda, forse pensa la stessa cosa, forse mi sorride o forse, semplicemente, mi ignora, le panchine sono fonte di tante riflessioni, in fondo. Si tengono per mano, come quarant’anni fa, quando si sono conosciuti proprio su quei binari, mentre andavano a Poggio Renatico. Questa mattina sono ancora li’, fanno sempre lo stesso tragitto, ora come allora. Insieme. Per loro il tempo si è fermato, come tutto in questa stazione. Come tante cose, oserei dire, in questa città. Ma questo è anche il suo bello, il sapere di poter tornare a una casa che aspetta, sempre lei, sempre la stessa. E mentre quel vagone rosso ancora sbuffa e quasi pare voglia cimentarsi in uno sberleffo alla mia malinconia, penso che è bello, ogni tanto, fermare il tempo e guardare indietro. Perché anche dove tutto sembra impresso nel cielo come una fotografia, tutto scorre, e la vita continua. Dalla mia panchina ora scaldata dai ricordi di un tempo alzo gli occhi verso l’altoparlante. E lo sento ancora… Ferara… stazione di…

image

tag:

Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it