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Abbiamo scritto tante volte di città della conoscenza, di festival dell’apprendimento, di fare di Ferrara, città di cultura patrimonio dell’umanità, un luogo di saperi diffusi, capace di festeggiare la conoscenza, la cultura e quanti, grandi e piccoli, noti e meno noti, sono impegnati a studiare, a conoscere, ad apprendere, a ricercare, a essere creativi, a inventare, a produrre saperi. Una città che del capitale culturale fa la sua identità, il suo vanto, una città di pianura che coltiva il sapere, che ne cresce le piante e ne distribuisce i frutti.
Una città che coltiva intelligenze, che nell’incontro con l’altro valorizza l’intelligenza, perché l’intelligenza è l’unico vero capitale che accomuna tutti i cittadini in un spazio di ricerca, dialogo, conoscenza, accettazione, di sfide e difficoltà da affrontare insieme. La città è un grande moltiplicatore di intelligenza, delle menti dei suoi cittadini prima di quella virtuale e tecnologica, la prima è la smart city vera, l’altra non può che essere al suo servizio.
Non vogliamo essere poeti, né gli utopisti del luogo che non c’è, sappiamo che senza risorse, lavoro ed economia niente si costruisce. Oggi però sono il lavoro, l’economia, le imprese, la finanza che, anche dalle nostre parti, hanno bisogno di più cultura, di più sapere, di creatività, di innovazione, di invenzione. Hanno bisogno di intelligenze diffuse in un mondo che al capitale industriale ha sostituito il capitale umano, il capitale della conoscenza. Silicon Valley e Bangalore sono lì a dimostrarlo.
Contemporaneamente è cresciuto il nostro bisogno di sapere, di essere informati e di controllare le informazioni. Il welfare, di cui oggi ognuno necessita per essere cittadino attivo e vivo, non è solo i servizi sociali dall’istruzione alla salute, ma l’essere partecipe della conoscenza, della sua produzione e della sua diffusione. Non c’è più l’età in cui si studia e l’età in cui si lavora, e poi semmai l’età in cui ci si mette a riposo: tutta la vita è continuo apprendimento dalla nascita alla morte. Non c’è un’età in cui è troppo presto per apprendere e un’età in cui sarebbe troppo tardi, sono i modi, le modalità, gli ambienti che cambiano, ma non può mai venir meno il nostro bisogno e diritto di essere pienamente formati e informati, per essere padroni sempre consapevoli della nostra esistenza.
E allora città della conoscenza significa abitare e vivere la propria città partendo dall’assunto che ognuno di noi, ogni individuo costituisce il capitale umano su cui si regge e su cui può contare questa nostra città, piccolo, giovane, vecchio che sia. Questa ottica, converrete, è un po’ diversa da quella dei servizi sociali, delle frasi fatte come “deve crescere”, “è un adolescente”, “è un immigrato” e altre ancora del nostro repertorio, che isola ed etichetta. No, è qualcuno che concorre a comporre il ‘capitale umano’ della nostra città! Una ricchezza di umanità che è la pluralità dei singoli e delle loro relazioni, quel tutto ben superiore alla somma delle singole parti. Cosa può venire da questa ricchezza? Dipende da noi, se siamo disponibili a vedere il nostro altro con questo sguardo rinnovato, con lo sguardo intelligente di una città che vuol conoscere, di una città che vuole apprendere.
In questo modo al capitale strumentale e materiale della città, si affianca il capitale della conoscenza e degli strumenti della conoscenza. Su questo patrimonio di capitale tangibile e intangibile la nostra città è chiamata a investire per il suo futuro.
Non saremo soli perché la rete mondiale delle città della conoscenza, le ‘knowledge cities’, conta ormai centinaia di aderenti e ogni giorno cresce sempre più. C’è addirittura un premio per le città che della conoscenza fanno la base del loro sviluppo, il “Most Admired Knowledge City” (MAKCi). È assegnato dal World capital institute, che in questo modo intende riconoscere i successi raggiunti dalle comunità che in tutto il mondo hanno dato vita a processi di sviluppo basati sulla conoscenza sotto la bandiera delle ‘knowledge cities’.

Per tutto questo abbiamo deciso che era ormai tempo di passare dalle parole ai fatti e di proporre di fare della nostra città una ‘città della conoscenza’, una ‘città che apprende’, senza attendere la politica, ma mobilitando i protagonisti di un’idea nuova di città, di una città come capitale umano di intelligenze, di idee, di volontà. Per tanto invitiamo quanti si riconoscono nella nostra proposta e pensano di condividerla di aderire al “Manifesto per Ferrara Città della Conoscenza” con l’intenzione poi di ritrovarci tutti per conoscerci e ragionare insieme.

Leggi il Manifesto per Ferrara Città della Conoscenza
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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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