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Mi accorgo che la mia storia a Ferrara procede a balzi: a volte accelerata, altre in rallenty, così le cose, gli avvenimenti sembrano astrarsi e non trovare quel giusto rapporto tra il ricordare e l’accadere. La notizia di una borsa di studio che i figli dedicano alla memoria di Maria Teresa Ronchi mi riporta alla memoria momenti che sembravano cancellati e che ritornano con il lampo del ricordo che tuttavia non ha la forza di ritessere la trama.
Era mia consuetudine per rimpolpare il magro budget di un assistente di ruolo appena nominato a Firenze dove ero stato costretto a prender residenza (e così non poter giovare all’avvicinamento di mia moglie dalle lande deltizie dove insegnava), far domanda di presidente di commissione agli esami di stato. Fui destinato per due o tre anni nella commissione di Maria Teresa e s’instaurò una solida amicizia basata sul rispetto e sulla reciproca condivisione di temi politici e culturali assieme. E ancora oggi con l’aspetto fisico del vecchietto ma ancora con la mente forse troppo giovanile incontro rispettabili signori che mi ricordano quella prova di maturità come una delle esperienze più gratificanti della loro non sempre quieta giovinezza.
C’era stato il ’68, erano gli anni di piombo eppure in questa città si respirava un’aria diversa così differente da quella che respiravo a Firenze centro codificato con Milano della protesta giovanile. Eppure gli studenti ferraresi non erano digiuni dalla conoscenza di quel che avveniva in Italia e non solo lì.
Un altro caro amico troppo presto scomparso che insegnava all’Istituto Industriale: Giuseppe Corticelli, finissimo studioso, allievo di Ezio Raimondi, fece portare “Vogliamo tutto” di Nanni Balestrini (era il 1971) all’esame di maturità nell’anno in cui presiedevo la commissione. C’era un rispetto per la cultura associata alla passione politica ammirabile. Non a caso nell’ultimo anno d’insegnamento prima di essere chiamato al Firenze nella mia classe c’erano Fiorenzo Baratelli, Roberto Cassoli, Marcello Folletti che tanto hanno dato alla città notoriamente dimentica dei propri figli migliori.
Di Maria Teresa ricordo il suo breve passaggio all’assessorato: anche lì riannodammo fili culturali solidi e tenaci. Ma ripeto il ricordo ha buchi neri. E allora mi domando: è la mia memoria che è lacerata o è stata la città ad avere smemoratezze e oblivioni? Era il mio essere pendolare tra due città dove ogni settimana vivevo in una situazione sociale e storica completamente diversa oppure quei buchi esistevano veramente?
Ormai a quasi cinquant’anni di distanza sarebbe tempo di tentare un primo risultato storico e un giudizio. Ma la città sembra distratta da altri pensieri. I giovani non certo migliori o peggiori di quelli che furono i nostri allievi, con insegnanti quasi sempre appassionati del proprio lavoro e con in più l’umiliazione costante che proviene dalle infime condizioni economiche a cui sono costretti, con disastrose riforme scolastiche che hanno coinvolto tutto lo schieramento politico culminato in questi giorni con l’abolizione dell’insegnamento di storia dell’arte voluto dalla meno degna ministra che abbia ricoperto quel ruolo, Maria Stella Gelmini, del cui operato tacere è bello, non paiono solleciti a ricostruire una memoria che li renda in fondo consapevoli di quel recente passato di cui furono protagonisti loro genitori o i loro nonni.
Sembra quasi che nel lungo governo della sinistra in città esista come una necessità se non una volontà di non fare i conti con la storia recente o recentissima. La mancanza di una solida controparte politica che in qualche modo avesse avuto i numeri e la capacità di un’alternanza, la progressiva sparizione di quella borghesia intellettuale che rappresentava l’aspetto migliore del conservatorismo di una città per tanti anni governata dalla sinistra ma il cui potere economico era saldamente in mano agli agricoltori e industriali (pochi) hanno fatto sì che si trovasse comodo rifugiarsi in una specie di non belligeranza d’idee sotto l’ala protrettrice della banca di riferimento. Questo ha forse prodotto l’“oblivione” di cui ancora non si vede la fine.
E ricordando i nomi di valorosi insegnanti che hanno educato l’odierna classe dirigente come quelli di Maria Teresa o di Corticelli, o di Giovannelli , o di Modestino o di Elettra Testi o di Luciano Chiappini o di Roseda Tumiati e del maestro Franceschini o di Don Patruno o di Franco Farina e di tanti altri straordinari insegnanti, mi pare -e sarebbe urgente- che alla fine si cominciasse a ricostruire la storia recente di Ferrara; di vederne i progressi ma anche i regressi e quindi la capacità e la necessità di non arretrare di fronte a una volontà ormai impellente di non lasciare buchi nella trama del nostro recente passato. Ne saremo capaci?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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