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Così come un’isola emerge dalle acque, per contrappasso questa città affonda, cinta due volte: dalle mura e dalla terra. Ferrara non si scorge, non la vedi dall’autostrada, non dalle sue circonvallazioni. È una città nascosta ed è una città di pianura. Sono i suoi confini, le mura, i suoi limiti artificiali. Al di fuori dei quali non esistono luoghi, soltanto spazi. Il selciato dei suoi vicoli medievali, però, va calpestato con le suole dure, quelle che si usano per scalare una montagna. Altrimenti i sassi tondi scavano, ti entrano nella pianta e Ferrara diventa il supplizio di chi la cerca e ogni giorno finisce per trovarla sempre la stessa, per trovarla sempre uguale e diversa.

Oggi avrei bisogno delle sue strade larghe, più che dei vicoli. Di perdermi in quella parte di città dove le vie non nascondono mai nulla, anzi si mostrano per centinaia di metri, fino alla fine. Sono le strade delle arienuove, significano che l’essere umano può e deve guardare lontano con l’uso della ragione. Da Ercole I d’Este vedrei, a chilometri di distanza, la Porta degli Angeli. Ma come si fa a non nascondere mai nulla? Una strada può farlo, ma un uomo?

È il sabato dei ricchi e dei pezzenti. È il sabato della gente comune, della borghesia in vista, dei ragazzini e dei malviventi. La folla affluisce ordinata verso le strade dei commerci. In via Cortebella un uomo scruta il fondo di un cassonetto dell’indifferenziata. È immerso dalla cintola in su. Ne scorgo le natiche, le gambe. Quando riemerge mostra un viso scarno. Ha la faccia munta, scavata. Il suo aspetto non ha età. C’è qualcosa in lui che disorienta. È un uomo di un altro mondo. Ecco perché per lui è stato come se non ci fossi. Le nostre vite sono attaccate ognuna al proprio amo, e il pescatore oggi allenta la mia lenza e ritira la sua. Così il suo amo stringe, trafigge, spirita gli occhi, mentre il mio non si muove. Ferrara è il nostro acquario.

All’incrocio tra via Garibaldi e via della Luna suonano quattro zingari dall’aspetto trasandato. La gente tira dritto e il cappello non si riempie. La città dei Buskers non è ancora pronta e i quattro zingari, che la strada la vivono per davvero, sono privi del fascino degli artisti. Non suonano scalzi. Non indossano capi della new age. Insomma, non hanno santi in paradiso e non sembrano eroi. Però la loro musica si riverbera sulle facciate dando un soffio d’aria allegra alla giornata. Il resto lo fa la loro faccia segnata, mezza guascona e mezza bandita. Intanto, almeno per loro, Ferrara veste i panni di una musa.

Vorrei una strada secondaria e una meta, in questo sabato pomeriggio. In quest’isola stretta nella sua barriera corallina di terra cotta. Un’altra città invisibile per Italo Calvino. Coperta da un cielo azzurro immenso che quando imbianca sembra di carta. Si aspetta sempre che scenda qualcosa da questa volta sulla nostra testa. Per ora il sole ha portato via l’inverno e la bruma come l’ingenuità degli uomini l’hanno rubata il Peccato e il Tempo.

Cosa si può chiedere a questa giornata? Quello che veramente voglio è la redenzione. Per tutta questa gente che corre, che sta ferma o che cammina. Per i soldati nemici, per gli avversari politici. Per chi ha commesso misfatti, perpetrato inganni. Per Giuda, per Caino. Non voglio altro che la possibilità della redenzione. Significherebbe ancora una volta, dopo tanto tempo, qualcosa di sacro come assolvere la debolezza e la Paura. Assolvere senza aspettare ulteriori sacrifici. Qualcosa che può accadere solo dentro di noi, che non occorra mostrare fuori. Voglio la redenzione e, se non è possibile il riscatto, datemi una qualche forma di indulgenza. Questo non vuol dire che non si debba pagare. Voglio il perdono oppure la cancellazione di ogni peccato. Voglio il diritto al fallimento, perché qualsiasi cosa accada: quando si dice vita, di questo si tratta. Penso a chi spara a zero sui profughi, a chi soffia sulla fragilità delle persone come Matteo Salvini. A chi vende sogni scaduti alla gente come Matteo Renzi. penso al bambino che emigra nascosto nella valigia. Oppure ad Aldro, a Federico, e quello che ha dovuto subire una Mamma in seguito alla sua morte, ad opera di un sindacato di polizia. Penso agli aguzzini di tutto il dolore del creato e voglio la redenzione. Solo questo.

A volte Ferrara è un’isola dove ci si incontra spesso e non si parla, per davvero, mai. A volte è una prigione da cui non si vorrebbe evadere mai. Allora si fantastica come Ariosto. Si finisce per chiedere a chiunque di recuperare il senno, fin sulla luna.

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Sandro Abruzzese

Nato in Irpinia, vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un istituto d’istruzione superiore. Per Manifestolibri ha pubblicato Mezzogiorno padano (2015). Con Rubettino ha pubblicato CasaperCasa (2018) e Niente da vedere (2022). Sul suo blog, raccontiviandanti, si occupa di viaggio e sradicamento

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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