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Agricoltura urbana, questa meraviglia. Ci sono tutti gli ingredienti di una sostenibilità senza fine: chilometro zero, verde e orto urbani, raffrescamento passivo, Led, solare, pompe di calore aria/acqua, isolamento con lana di legno e materiali ecologici, raccolta dell’acqua piovana, riqualificazione di una periferia industriale. Siamo a Romainville, nord-est di Parigi, precisamente a 3 km dalla capitale, all’estremità orientale della collina di Belleville, dipartimento de la Seine-Saint-Denis (93), regione de l’Ile-de-France. Un comune che conta circa 26.000 abitanti, su 344 ettari, dove storicamente la popolazione si dedicava alla viticultura o alla coltivazione di verdura. Qui svetta la Tour Maraîchère, progettata per produrre ortaggi e frutta a chilometro zero, nel rispetto totale dell’ambiente. Una doppia fattoria verticale che deve riqualificare un’area di 1.000 mq entro il 2018, nel cuore del quartiere Marcel Cachin. Vincitore del concorso lo studio di architettura parigino Ilimelgo (http://ilimelgo.com/), che ha collaborato con lo studio Secousses, i paesaggisti di Land’Act e gli agronomi di Terr’Eau Ciel. La fattoria verticale è stata disegnata per ospitare diversi tipi di colture e massimizzare l’esposizione alla luce solare. Un condotto d’aerazione presente in entrambi i blocchi dell’edificio consente alla luce di filtrare e migliora gli scambi termici.

1Gli studi condotti sull’esposizione del sito hanno indotto gli architetti a realizzare un edificio suddiviso in due ali, soluzione che ha consentito di raddoppiare la superficie delle pareti e quindi migliorare il guadagno solare. La diversa altezza delle ali è stata progettata per limitare la perdita di ore di luce diretta di cui possono godere le piante. La cappottatura è rinforzata con policarbonato e lana di legno per migliorare l’isolamento, soprattutto per eliminare i ponti termici. Il raffrescamento passivo è dato da un sistema di aperture presente in ogni piano consente di regolare la ventilazione naturale. Il differenziale di calore prodotto dalle serre viene reimpiegato per il riscaldamento dell’acqua e dei serbatoi di coltura grazie a una pompa di calore aria/acqua. Per favorire la crescita delle piante, l’acqua piovana viene raccolta e stoccata all’interno dell’edificio, che è illuminato a led. Per l’intero progetto è previsto l’uso di materiali provenienti da fonti gestite in maniera sostenibile.

3La torre si presenterà con sette grandi terrazzi, più una grande serra in cima. La forma è disegnata in funzione degli orti, cui arriva solo luce naturale, mai artificiale. La volumetria è ottimizzata perché i bancali che ospitano le piante possano ricevere la maggior quantità di luce naturale e abbiano una produttività maggiore. Tuttavia, la struttura è pensata anche per essere flessibile, cioè per poter essere riconfigurata in parte o del tutto con una destinazione d’uso diversa dall’agricoltura urbana. Infine, ma non ultimo, vi è uno spazio dedicato al compostaggio on-site, dove vanno gli scarti delle fattorie dell’edificio ma anche i rifiuti organici della popolazione. Nel sottosuolo un laboratorio per la germinazione dei semi.

Produzione di cibo a km zero con punto vendita in loco, preservazione della biodiversità, implementazione di forme di economia circolare, giardini urbani nei punti di raccordo tra i piani della torre, uno spazio pubblico didattico (una serra pedagogica): tutto a disposizione dei cittadini, che possono entrare e uscire liberamente dalla struttura. Produrre meglio per consumare meglio, dunque. Bel progetto, che sarà una prima prova per eventualmente replicare. Da seguire.

Testo pubblicato su www.bioecogeo.it

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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