Skip to main content

Sono quasi dieci anni che frequento Ferrara, scolasticamente parlando, nonostante la mia residenza nella provincia di Mantova. E da quando ho cominciato il liceo, in provincia, ho sempre osservato come la tradizione dei ferraresi sia fortemente improntata sulla critica (più o meno costruttiva), sull’accusa, sulla denuncia. Tutte propensioni fondamentali in un Paese libero e democratico che, tuttavia, diventano utili davvero soltanto se orientate a una ricerca costruttiva verso il miglioramento. Invece no. Noto purtroppo che la principale forma di valutazione dei ferraresi circa il territorio nel quale vivono sia spesso frutto di un pensiero molto autolesionista, un pensiero incentrato ad evidenziare particolarmente solo i problemi e le negatività che a tutto porta meno che all’innovazione e al cambiamento della triste ed immobile situazione odierna. E pensando a ciò molto intensamente negli ultimi tempi, ormai iscritto al terzo anno di Università e dopo aver conosciuto molta gente qua residente, mi sorgono spontanee, sempre più prepotenti, alcune domande: possibile che la critica non diventi autocritica? Che non si possa cominciare a valutare non solo ciò che non va, ma anche e soprattutto ciò che di unico e fantastico è presente in questo territorio? Tra i ferraresi sembra ormai tradizione dimenticarsi della storia della loro città, che l’ha portata coerentemente a essere uno dei luoghi più unici e caratteristici non solo in Europa ma nel mondo. Ora, sono ben consapevole che il mio “sfogo” (se così possiamo chiamarlo) possa risultare inutile e frutto di pressappochismo (oltre al fatto che questo sentimento critico lo si ritrova quasi sempre anche nelle altre città) ma, al contrario, sono sempre più convinto che quello che qui serve sia un cambiamento di mentalità.
Penso a una presa di coscienza di ciò che ci circonda. Com’è possibile non valorizzare il più possibile la cultura ferrarese esaltandone i caratteri tipicamente medievali e quelli che hanno ne hanno segnato la grandezza rinascimentale? Grande meta di un turismo che approda a Ferrara quasi inconsapevole dell’antica atmosfera che si respira per le sue strade, tra le vie dei borghi e l’imponente centro storico. Com’è possibile non valorizzare la tradizione gastronomica, fiore all’occhiello di un Paese già al top a livello mondiale e proprio per questo ai vertici delle preferenze internazionali? Come si può non essere orgogliosi di vivere sulle sponde del Po, a pochi passi dal Delta e dal mare, in un paesaggio costellato di infinite campagne e terre rigogliose? E come dimenticarsi dell’università, modesta nelle (obbligate) dimensioni ma assolutamente competitiva con le ben più grandi realtà presenti in città vicine? E ancora, del suo riconoscimento di città delle biciclette, dei suoi numerosissimi festival estivi, della grande propensione all’organizzazione di eventi artistici?
Lo so, a parole è troppo semplice parlarne. Più difficile è rimboccarsi le maniche ed agire. Ma solamente ricominciando ad amare queste terre e queste tradizioni si potrà tornare ad essere stimolati, consapevoli di contare e di essere importanti. Perché quindi non sognare di tornare a vedere la Ferrara di un tempo, culla di tradizione, terra di storia, gloriosa patria estense? Una Ferrara che conta non solo in Emilia (dove sempre più viene considerata l’ultima ruota del carro) ma a livello nazionale, o ancora più in grande? Io in primis, da esterno, comincerei da qui per scrivere pagine più rosee per il futuro. Basta vedere tutto solo in negativo. Basta credere sempre solo ai complotti. Basta considerare Ferrara solamente come una città “immobile”. Per farla rinascere è prima di tutto obbligatorio tornare ad amarla e considerarla per quella che è: una città Patrimonio dell’Unesco. E se neanche il riconoscimento di questa eccellenza sarà sufficiente, allora sì che inevitabilmente bisognerà ammettere di aver sciupato, appunto, un vero e proprio patrimonio.

Nell’immagine in evidenza “Umarells” (foto di Irene Brognati)

tag:

Andrea Vincenzi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it