Skip to main content

Gli italiani, così almeno pare, amano le statistiche. I loro giornali sono sempre pieni di tabelle, liste di best seller e sondaggi d’opinione.
Molto popolari anche le classifiche delle città italiane con la migliore qualità della vita, pubblicate con regolarità dalle riviste. I criteri di valutazione che vanno per la maggiore sono: retribuzione media dei cittadini, qualità dei servizi comunali, offerta di attività culturali, funzionamento dei trasporti pubblici, numero e superficie degli spazi verdi.

Si tratta, indubbiamente, di indici importanti, ma ci sono anche altri criteri – non materiali – per definire il valore delle città, criteri letterari, per esempio. Quanto contano ancora palazzi, chiese, case, piazze, strade, angoli, monumenti e, non dimentichiamoli, i luoghi che una città dedica ai suoi morti? Le città sommerse dal consumo sono città morte; non ci raccontano niente, i loro abitanti sono intercambiabili, come i negozi.
Molti parlano, in questi ultimi anni, della crisi che attanaglia Ferrara, e ci sono effettivamente tanti elementi per verificarla. Non è mio compito giudicare da lontano se è vero o no. Ma si può assumere anche un altro punto di vista, un punto di vista letterario. E in questo senso, per me Ferrara è una città viva, che si offre alla lettura: le sue strade e i suoi vicoli sono come «il filo conduttore di un racconto», come scrisse della Berlino degli anni venti lo scrittore Franz Hessel. In Italia, e in Europa, è sempre più difficile visitare una città in cui è possibile riscoprire quella «capacità di narrare» così intrinseca a Ferrara, la città degli Estensi.

«Il modo in cui Bassani ha raccontato Ferrara ha attirato l’attenzione dei turisti sulla città», scrisse Alfred Andersch, uno dei più famosi scrittori tedeschi del dopoguerra, nel saggio Sulle tracce dei Finzi-Contini. Molti visitatori stranieri associano quindi Ferrara al Romanzo di Ferrara di Bassani, cercano il giardino dei Finzi-Contini e, non trovandolo, rimangono delusi. Ma il visitatore straniero che ha modo di fermarsi più a lungo scopre, al di là delle vie narrate da Giorgio Bassani, anche nuove tracce che portano ad altri racconti, romanzi, saggi e, perché no, anche a poesie non ancora scritte.
Ovunque è possibile scoprire dettagli e ornamenti, epigrafi e tavole votive che testimoniano una lunga storia e le storie più misteriose di Ferrara. Chi sa ascoltare il cuore di questa città, magari educato all’ascolto dal meraviglioso saggio di Alberto Savinio su Milano, riuscirà a cogliere il fascino e scoprire la magia di Ferrara e dei suoi dintorni, al di là delle mete turistiche più famose.
Potremmo dire che Ferrara è una scuola dei sensi, per chi vuole ascoltare e vedere. Consentite, pertanto, a un visitatore straniero come me, di parlare di alcune delle mie prime scoperte. Per esempio, del cimitero ebraico in fondo a via delle Vigne, così diverso dai cimiteri tedeschi tenuti con cura maniacale e progettati come se fossero autostrade. All’ombra delle mura cittadine, coperte da una fuga di alberi, i morti possono riposare in pace. Nessuno spazza le foglie, nessuna lapide viene pulita, il decadimento dilaga dappertutto.

Quante storie raccontano le iscrizioni ancora leggibili sulle lapidi commemorative degli ebrei di Ferrara, ormai slavate dal tempo. Ricordano persone dotate di «un grande cuore», deportati in «campi di sterminio nazisti» o «Deportato ad Auschwitz»fra il 1940 e il 1945, cifre già corrose degli anni. E le storie narrate da coloro che riposano nel cimitero ebraico di Ferrara sono particolarmente mortificanti per un tedesco. Ci si imbatte poi in epigrafi più vecchie, se non antiche, come quella di Jacob Massarani, morto il 22 marzo 1877, in vita «scrupoloso osservatore»: un’espressione che sembra facile tradurre in un tedesco parlato, anche se con il tempo il significato della parola “scrupoloso” si è sbiadito. Viene spontaneo domandarsi quando e perché l’aggettivo sia stato rimosso, come un fardello ingombrante, dal vocabolario della vita moderna. In tempi di giudizi veloci e univoci chi – eccezion fatta per gli artisti – può permettersi il lusso di essere uno «scrupoloso osservatore» dei propri tempi? A volte sono proprio le lapidi dei vecchi cimiteri a ricordarci perdite irrimediabili.

Lasciamo in pace i morti e andiamo in città, dove vivono gli essere umani. Il vicolo del Leocorno, nascosto ai margini delle città vecchia, dove mia moglie ed io abbiamo acquistato un appartamento, porta il nome di una drogheria che vi si trovava verso la metà del XVI secolo, il cui simbolo era il favoloso unicorno. Partendo da questo dettaglio, si potrebbe raccontare tutta la cronistoria delle attività commerciali e dei piccoli negozi di Ferrara che oggi rischiano la chiusura per colpa dei grandi supermercati insediatisi fuori le mura e le grande catene del mercato globale incluso dei mini shop cinesi, spesso di valore minore ma molto economici. Qualche anno fa, mi ricordo di una donna che un giorno vidi decorare le vetrine della sua bottega di via Carlo Mayr, vicino casa nostra, fino a notte fonda, per attirare nuovi clienti. Forse la signora potrebbe raccontarci qualcosa su questa lotta per la sopravvivenza.
Accanto a una copia de La donna in rosa di Giovanni Boldini, nella sua vetrina disponeva amorevolmente cosmetici: raramente ho visto clienti in quel negozio. Forse perché ci siamo tutti scordati che per ogni bottega, per ogni trattoria, per ogni bar che chiude, la città viene privata di una piccola parte della sua identità e peculiarità.
«La nuova abbondanza,» scrive Italo Calvino nel suo bellissimo libro “Le città invisibili, «faceva traboccare le città di materiali, edifici, oggetti nuovi; affluiva nuova gente di fuori; niente e nessuno aveva più qualcosa in comune con la Clarice o le Clarici di prima; e più la nuova città si insediava trionfalmente nel luogo e nel nome della prima Clarice, più s’accorgeva di allontanarsi da quella, di distruggerla non meno rapidamente dei topi e della muffa.» Che scrivendo queste frasi, stesse pensando anche a Ferrara?

All’estero la città estense è giustamente famosa anche per la sua politica culturale. Le iniziative culturali ad alto livello, come i concerti e i balletti al Teatro Comunale, sono in grado di competere con quelle organizzate nelle grandi capitali europee. L’esemplare lavoro di restauro del suo centro storico ha avuto il più ampio riconoscimento internazionale. Le mostre di Palazzo Schifanoia, di Palazzo dei Diamanti e di Casa Romei, sono un richiamo irresistibile per tutti gli appassionati d’arte. Il Castello e la Cattedrale sono tra le mete irrinunciabili dell’Emilia. Poeti e scrittori come Carducci, Bassani e Piovene hanno eretto a corso Ercole I d’Este un monumento letterario indimenticabile.

Tutte le guide turistiche elogiano, a ragione, il patrimonio artistico di Ferrara, ma la città conserva anche un patrimonio di storia e di cultura di cui le guide turistiche non fanno menzione, un patrimonio che ci consente una lettura della città che altre, seppure con una qualità della vita forse migliore, hanno perso per sempre.
«Il problema culturale delle città moderne,» scrive il sociologo urbano americano Richard Sennett, «è quello di riuscire a far parlare un ambiente anonimo, di fare uscire le città dalla loro degradazione e dalla loro neutralità.» Questo problema, per Ferrara, non si pone. Forse deve solo imparare a riscoprire e valorizzare un elemento importante della sua qualità di vita: la propria capacità di narrare.

(Traduzione di Carl Wilhelm Macke con Giovanna Runngaldier)

tag:

Carl Wilhelm Macke

È nato nel 1950 a Cloppenburg in Bassa Sassonia nel nord-ovest della Germania. Oggi vive a Monaco di Baviera e il piu possibile anche a Ferrara. Lavora come scrittore e giornalista. E’ Segretario generale della rete globale “Giornalisti aiutano Giornalisti (www.journalistenhelfen.org) in zone di guerra e di crisi, e curatore dell’antologia “Bologna e l’Emilia Romagna”, Berlino, 2009. Amante della pianura.

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it