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23 Agosto 2016

Feste Unità

Tempo di lettura: 3 minuti


da: Stefano Bulzoni

L’ Anpi ha deciso di non partecipare alle feste dell’ Unità, a partire dall’ appuntamento di Bologna.
Per una ragione esplicita. L’ associazione dei partigiani, infatti, è stata invitata a non promuovere le ragioni del No al referendum costituzionale alle feste. Renzi sta peraltro tentando di ridimensionare le tensioni. Ha infatti proposto al presidente dell’ Anpi un confronto sul tema del referendum la settimana prossima a una festa dell’ Unità in Emilia-Romagna.
Al di là di valutazioni sul merito, questa polemica fornisce un segno significativo dei tempi che cambiano, perché – come ha osservato sulla Repubblica – la storica Anna Tonelli: “Le feste hanno sempre costituito un luogo aperto, anche ai cosiddetti nemici e agli avversari, negli anni degli scontri più duri”. Michele Serra lo ha rammentato anche lui, senza mezzi termini: “Le feste dell’ Unità sono per loro natura e da sempre il luogo classico della discussione a sinistra”.
Naturalmente, non bisogna attribuire un significato paradigmatico a un episodio specifico. Ma le feste dell’ Unità, forse più di altri aspetti della realtà politica, spiegano bene quanto siano cambiati i “partiti”.
Nell’ Italia del dopoguerra, la politica era strutturata dalla frattura fra l’ anticomunismo, impiantato sul muro di Berlino, e, sul versante opposto, l’ anticlericalismo, l’ antagonismo verso la Chiesa.
Perché i “comunisti” erano servi della Russia e i nemici della Religione. Cioè, del mondo cattolico. Il sistema di servizi, associazioni, valori che sosteneva la società locale. La Chiesa: il retroterra della Dc. E il Pci, insieme alle associazioni sindacali e della sinistra, offriva un’ alternativa. Capace di evocare gli orizzonti di valore e di organizzare la realtà sociale.
Di indicare grandi destini, ma anche le routine quotidiane. Per questo le feste dell’ Unità sono importanti. Perché danno continuità a quella storia. Quando la politica era inserita nella vita quotidiana. E contava nel momento del voto, nel rapporto con il governo nazionale, ma anche nella socialità e nel tempo libero.
Certo, da allora è cambiato tutto. Più della politica, oggi conta l’ anti-politica. Eppure anche un tempo l’ antipolitica era diffusa. Nei giudizi sui partiti negli anni ’50, gli insulti si sprecavano.
Così eri e ti sentivi comunista oppure democristiano, meglio: anti-comunista, a seconda del luogo dove vivevi. E delle relazioni che intrattenevi.
Si tratta di cose note. A ripeterle si rischia di apparire nostalgici. Anche se la nostalgia è utile, perché spinge a rivisitare il passato in modo selettivo. A isolare gli aspetti più interessanti. Tuttavia, nel caso delle feste dell’ Unità mi pare che il problema vada oltre. Perché si tratta di feste popolari (“di popolo”) che riproducevano il legame della politica, ma anche dell’ antipolitica, con la società.
Ma oggi “quel” legame sembra essersi spezzato. Perché “quei” partiti non ci sono più. Così, la festa dell’ Unità è divenuta un’ altra cosa. Non ne giudico, ovviamente, la qualità. Per rispetto della sua storia, almeno. Tuttavia, il cambiamento di clima sociale intorno all’ unica Festa di partito sopravvissuta, insieme al giornale a cui fa riferimento, permette, più di altri segni, di ragionare sulle difficoltà del “partito” che la ispira.
Oggi: il Pd. A differenza del Pci, non è un soggetto “unitario”, come suggerisce la testata del suo storico giornale. L’ Unità, appunto. Riassume, invece, due “popoli” per molti anni alternativi. Comunisti e anticomunisti. Post-comunisti e post-democristiani.
Oggi, peraltro, il Pd deve fare i conti con una nuova distinzione. Post-ideologica. Perché al suo interno si è imposto il PdR. Il Partito di Renzi.
Per questo il Pd ha “senso”. Ma solo se riuscirà a trovare un equilibrio, anche instabile, con il PdR (Partito di Renzi). Oggi, però, ha poco da festeggiare. Perché l’ Unità, più che un giornale, per gli elettori e i militanti del Pd-PdR costituisce un obiettivo da conquistare. Perché, altrimenti, restano solo gli interessi.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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