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“Curiosità, fascino, bellezza” ecco l’essenza dell’arte secondo Giorgio Cattani. Artista, insegna all’Accademia di Brera e da molti anni vive a Milano ma con Ferrara, città in cui è nato nel 1948, mantiene frequentazione e solidi legami. La persona giusta, per esperienza e sensibilità, per sciogliere l’interrogativo sulla ragioni del successo di un artista: per dire se i presupposti stiano in un talento innato o siano il frutto di coincidenze e fortunati eventi. Per primo gli domando come è nata la sua passione e perché ha scelto di intraprendere una strada spesso tutta in salita.
“Ero un ragazzo in cerca di qualcosa di indefinito. Dentro di me sentivo vibrare corde, intriganti e curiose, ma l’ambiente esterno cercava di mettere a tacere questi miei fremiti. Ho seguito il fluire degli anni ’70, nel solco dei movimenti studenteschi e sono entrato in contatto con l’ambiente della scrittura. Certe immagini hanno iniziato a farmi sognare e ho incominciato ad appuntarmi parole, disegni e sensazioni”. Una passione innata quindi, un’amore per “qualcosa” inizialmente non ben definito, un trasporto verso tutto ciò che emoziona, incuriosisce, affascina. “Ho un rapporto magico con il gusto, con l’estetica, e ho sempre convissuto con note lievi, più che con le urla. Amo il bello, che non ho mai coniugato con il ricco. Per me la bellezza è contemplazione”.
Cattani è un’artista che ha scelto di votarsi alla “magia di un vivere inventato”, creando opere da osservare, studiare, rimirare, capire o interpretare. Spesso però, oggi come in passato, a chi sceglie la strada delle arti – pittura, poesia, scultura, danza, canto, teatro… – viene consigliato di imparare un “mestiere vero” e di dedicarsi alle proprie passioni solamente per passatempo. “Iniziare non è stato facile, non avevo l’appoggio della mia famiglia, i miei genitori avrebbero voluto vedermi proiettato nel mondo della ragioneria o dell’economia; ho dovuto combattere per poter seguire il mio istinto ma non serbo alcun rancore. Ho trovato moltissime porte chiuse, ma faceva parte del rischio connesso a una scelta di vita controcorrente; ci ho creduto e oggi vivo d’arte”.

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“Lungi da me”, opera di Giorgio Cattani

La determinazione è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi, ma anche la frequentazione degli ambienti giusti e l’incontro di persone di spessore contribuiscono alla realizzazione dei propri sogni. “Il Palazzo dei Diamanti di Ferrara, con il direttore Franco Farina, è stato per me fondamentale in quegli anni ’70. Era uno dei luoghi più accreditati, non solo in Italia, per quel che riguarda le arti figurative. E’ stato lì che ho iniziato a coltivare un gusto staccato dalle mode e dalla vetrina; volevo andare oltre le convenzioni e oltre la parola”.
Se il ‘maestro’ Farina è stato molto importante per introdurre Cattani nell’ambiente artistico, l’incontro con Bonito Oliva gli ha dischiuso gli orizzonti internazionali: “L’incontro con Achille è stato fondamentale, mi ha catapultato nel mondo. Il decennio di collaborazione con lui è stato dinamico e fruttuoso, sfociato nella Biennale di Venezia nel 1993, nella mia prima esposizione a New York e in un lungo percorso legato alla terra siciliana”.
Oltre a Franco Farina e Achille Bonito Oliva, anche prestigiosi galleristi hanno condizionato positivamente la vita e la carriera di Cattani, ma il più potente slancio gliel’ha dato “la scommessa nei confronti della vita”. Un’artista dalle mille sfaccettature, aperto alle sfide con se stesso e con il mondo che lo circonda, che per realizzare le sue opere prende ispirazione dalla vita di tutti i giorni; un’artista a tratti provocatorio, che con le sue performance va contro i pregiudizi. Racconta di quando, diplomato al Dosso Dossi di Ferrara, calcolò la distanza tra la porta d’ingresso dell’istituto e l’ufficio di Collocamento di fronte, poi stampò un numero di diplomi uguale al numero di metri che separano i due edifici. Li incollò all’asfalto, uno dopo l’altro, come a voler descrivere un sentiero. Quando la polizia lo fermò lui rispose “quello che vedete verrà raccolto ed esposto in una galleria”.

“Un altro mio intervento che fece scalpore ci fu il giorno in cui il critico d’arte Giulio Carlo Argan teneva una conferenza alla Sala Polivalente. Passai di lì, tornai a casa, presi lo “strumento” su cui si appoggiano gli abiti quando ci si sveste e ritornai in quella sala. Mi spogliai e sulla mia biancheria scrissi “l’arte non la si racconta, la si fa”, poi mi rivestii e me ne andai. Feci questo perché la nostra è una realtà che vive di preconcetti”.
Stupita, ma soprattutto incuriosita, gli ho allora domandato che rapporto ha con la sua città natale e cosa pensa della società in cui viviamo. Mi ha raccontato che viaggia molto e che tende a definirsi “viandante”, ma che in questa nostra “città di attraversatori” torna sempre molto volentieri. “Ferrara è un ambiente molto compresso; manca completamente un’attenzione verso la cultura in generale da parte dell’Amministrazione comunale. La nostra è una realtà lasciata al deterioramento: sia quello naturale, sia quello frutto di un vandalismo che nasce dall’ignoranza”.

La conversazione scivola su un argomento più sereno, quello accademico, che rende l’artista fiero del suo lavoro. “Mi è stato chiesto di insegnare, non sono stato io inizialmente a desiderarlo. Quando mi venne proposto, Bonito Oliva mi consigliò di provare; presentai il mio curriculum e arrivai primo in una graduatoria interna. Insegnai a Sassari, poi partecipai ad un concorso nazionale, lo vinsi e andai a Brera, dove oggi ho una cattedra. Il lavoro accademico è per me una delle esperienze più costruttive; non l’ho cercato, è arrivato in maniera inaspettata e grazie ad esso sono riuscito ad appagare il desiderio dei miei genitori. E’ un mestiere che amo, che mi permette di continuare ad imparare ogni giorno, ma che vivo sempre come performance”.

Uomo poliedrico, che crea ed insegna, ci rivela quali sono le opere di cui più è orgoglioso. “Nel 1988, a Documenta 8, quella che io considero la più grande manifestazione d’arte del pianeta, è stato scelto un mio video girato in vhs dal titolo “Metropolitan Trace”; è un’opera che per me ha un grande valore affettivo e che mi ha reso appagato di vivere in una comunità visionaria. Anche i lavori presentati alla Biennale di Venezia sono per me fonte di grandi soddisfazioni”.

Giorgio Cattani, “animale cittadino” come egli stesso si definisce, 35 anni fa iniziò a mostrare al mondo le sue opere, esponendo per la prima volta nel 1980 alla Graphigro di Parigi. Per il 2015 ha già due tappe importanti segnate sul calendario: la prima si terrà a maggio presso la “Five Gallery” di Lugano, una mostra che avrà come terreno di proposta lo scrittore e poeta Hermann Hesse; la seconda avrà luogo presso “Villa Filiani” di Pineto e riporterà molti riferimenti a D’Annunzio.
Attraverso il racconto della sua vita e della sua carriera ho capito che Giorgio Cattani non è persona che viaggia molto, ma un vero e proprio viaggiatore, o meglio un viandante per usare le sue parole. “Sono stato tra Burkina Faso e Mali e devo dire che mi rispecchio molto nella cultura animista: credo che gli oggetti emanino energia e che alcuni portino positività, altri negatività. Io sono un magma grezzo, non ho mai seguito il “senso unico”; ho sempre cercato di cogliere le energie che sentivo intorno a me”.

Ho voluto concludere il nostro incontro tornando a parlare della sua arte, tanto in senso materiale quanto ideologico. “Credo che ogni epoca viva di proprie dimensioni. Quella in cui stiamo vivendo è caratterizzata da attraversamento di confini, intrecci, rotture di dogane.” Questo si rispecchia nelle tecniche adoperate dall’artista nella realizzazione delle sue opere. Mi ha raccontato di aver amato particolarmente il pittore Robert Rauschenberg, vicino alla pop art americana, che nei suoi dipinti sovrapponeva tra loro diversi materiali. “Ho un rapporto primario con la materia e non ho una tecnica precisa che prediligo in particolar modo. Ricerco il rapporto cromatico e questo posso trovarlo in un pezzo di giornale che vedo per strada, quanto in una pubblicità che mi colpisce su una rivista”.

Cattani è un artista versatile che ama sperimentare nuove forme d’arte. Mi spiega, contrariamente a quanto pensavo, che la pittura non è mai stata vera e propria protagonista del suo mondo; per lui ciò che conta è la performance, che cerca di realizzare e trasmettere anche attraverso le installazioni video. Infine ho voluto chiedere a quest’uomo curioso e affascinato dal mondo, se collocherebbe se stesso all’interno di una specifica corrente artistica, del presente o del passato. E con queste parole prende congedo: “Credo che nella storia rimarrà il mio lavoro nell’ambito della videoarte, della pittura propositiva e dell’avanguardia, ma spetta ai critici assegnarmi una collocazione. Io sono un animatore solitario, credo che l’arte sia la grande amante del tempo e l’unica corrente a cui sento di appartenere è quella del vivere”.

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Silvia Malacarne


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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