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STANDING OVATION: I PIU’ ACCLAMATI SPETTACOLI TEATRALI DEL XXI SECOLO
Giorni felici, di Samuel Beckett, regia di Carlo Battistoni, Teatro Comunale di Ferrara, dal 18 al 22 aprile 2001

Finale col botto per la stagione di prosa 2000/2001 del Teatro Comunale: “Giorni felici”, del maestro del teatro dell’assurdo Samuel Beckett, nell’ormai quasi mitica interpretazione di Giulia Lazzarini e con la memorabile regia di Giorgio Strehler (qui ripresa da Carlo Battistoni). In merito a quest’opera del grande drammaturgo irlandese, ebbe ad affermare nel 1963 il regista pioniere del teatro dell’assurdo Roger Blin: «Il problema principale di questo testo è evidentemente quello dell’interpretazione, di trovare un’attrice capace di recitare questa parte enorme». Circa vent’anni fa Giulia Lazzarini vinse la sua formidabile sfida con un’interpretazione magistrale.
Samuel Beckett completò la stesura di “Happy Days” nel maggio del 1961. La “prima” mondiale ebbe luogo a New York, nel settembre di quell’anno, al Cherry Lane Theatre per la regia di Alan Schneider e con l’interpretazione di Ruth White. Alla fine del 1962, Beckett concluse la traduzione del testo in francese: “Oh les beaux jours”, che fornì al regista Roger Blin, il quale lo allestì nel settembre del 1963 alla Biennale di Venezia e, subito dopo, all’Odéon di Parigi, con l’interpretazione di Madeleine Renaud. La versione italiana: “Giorni felici”, andò in scena nell’aprile del 1965 al Teatro Gobetti; la regia del dramma, presentato dal “Teatro Stabile di Torino”, venne affidata a Roger Blin e il ruolo della protagonista a Laura Adani. E nel maggio del 1982 toccò a Giorgio Strehler fornire la propria versione al “Piccolo” di Milano, come s’è detto con la strepitosa interpretazione di Giulia Lazzarini.
La trama, se così può essere definita, è implosiva. Winnie, la protagonista, interrata fino alla cintola su una montagnola erbosa nel primo atto e fino al collo nel secondo, è alla ricerca di piccole gioie, di minuscole possibilità di consolazione. D’altra parte, vicino a lei sta Willie, suo marito, distratto e apatico, che non reagisce alle sollecitazioni della moglie. Willie continua a leggere gli annunci sul giornale, poi nel secondo atto appare vestito elegantemente, con guanti e cilindro, dunque caricaturale. Winnie sa che un tempo avrebbe potuto renderlo felice, ora sa di non essere più quella di una volta, così non le resta che trascorrere i suoi giorni cercando una fittizia felicità con parole vuote e oggetti inutili. È il fallimento dell’amore: fuori di noi stessi c’è il nulla. Le parole del monologo di Winnie sono quelle con cui «si ammantano di importanza le poche cose insignificanti che riempiono la nostra giornata, con cui si nasconde a se stessi, prima ancora che agli altri, la realtà della propria condizione».

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Riccardo Roversi

È nato a Ferrara, dove si è laureato in Lettere e vive tuttora. È critico letterario e teatrale per varie testate (anche on-line) e direttore responsabile di alcuni periodici. Ha scritto e pubblicato numerosi libri: poesia, teatro, saggistica. La sua bibliografia completa è consultabile nel sito: www.riccardoroversi.onweb.it.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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