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La mostra del World Press Photo – allestita per il Festival “Internazionale” a Ferrara, dove rimarrà fino a domenica 29 ottobre 2017 – fa vedere una dopo l’altra molte fotografie che durante il 2016 ci hanno colpito sulle prime pagine dei giornali o che sono rimbalzate sul web. Ce ne sono anche parecchie che casomai ci erano sfuggite, ma notevoli per come sono capaci di raccontare guerre, scontri, imprese sportive, bellezza naturalistica o degrado sociale. Questo è il resoconto di una visita guidata fatta con Babette Warendorf, giovane curatrice delle mostre fotografiche del WPP.

Mostra World Press Photo per Internazionale al Pac di Ferrara (foto Luca Pasqualini)

Durante Internazionale – a fare da eccezionale guida ai visitatori della mostra di Ferrara del Wpp – c’è stata infatti una rappresentante dello staff del World Press Photo, l’organizzazione del premio con sede ad Amsterdam che dal 1955 assegna ogni anno uno tra i più quotati riconoscimenti foto-giornalistici del mondo. “Una giuria internazionale – ha spiegato Babette – sceglie le foto che rappresentano meglio gli eventi più rilevanti dell’anno precedente. I criteri di selezione sono quelli della bellezza estetica e della capacità di raccontare fatti, perché il contenuto e la storia che ci stanno dietro sono molto importanti oltre alla tecnica. I vincitori sono 45 divisi per 15 categorie. Solo 5 tra questi autori premiati sono donne, che anche a livello di partecipazione sono una minoranza: il 15% di oltre 5mila fotografi, provenienti da 126 paesi, che hanno inviato 80.400 foto”.

Mostra World Press Photo per Internazionale a Ferrara: Babette mostra le immagini del vincitore della ‘Foto dell’anno’ Burhan Ozbilici (foto GM)

La visita comincia con il vincitore della foto dell’anno: il fotografo turco Burhan Ozbilici, con la sua sequenza di scatti che immortalano il killer di Ankara, mentre brandisce la pistola con la quale ha ucciso l’ambasciatore russo all’inaugurazione di una mostra d’arte. “Il fotografo – ha raccontato Babette – ci ha spiegato che era andato quasi per caso a quella mostra, nella città turca dove lavora. Quando si è trovato lì è successo l’attentato e lui ha deciso che doveva documentare tutto, anche se questo gli poteva costare la vita. Ecco allora la foto del killer in posa alla John Travolta, ma anche tutte le altre. C’è lo scatto che documenta la situazione prima dello sparo, con il killer fuori fuoco alle spalle dell’ambasciatore, e quella delle persone tenute in ostaggio e terrorizzate, perché non si sapeva se l’uomo avrebbe ucciso ancora qualcun altro. Lo stesso Ozbilici ci ha detto che ha temuto di essere ucciso, ma voleva comunque che restasse una testimonianza”.

“The silent victims of a forgotten war” di Paula Bronstein per World Press Photo 2017 in mostra a Ferrara

La visita prosegue soffermandosi sull’immagine di Paula Bronstein, la fotografa statunitense vincitrice del 1° premio della categoria ‘Vita quotidiana’ per uno scatto singolo, quello della donna afgana con in braccio un bambino ferito. Il bambino è il figlio della sorella della donna, rimasta uccisa dalla stessa bomba che ha ferito il piccolo lungo il percorso per accompagnarlo a scuola, a Kabul. L’immagine – fa notare Babette – ricorda la posa iconica della ‘Pietà’ di Michelangelo. Oltre al perfetto contrasto di luci e ombre la scelta è motivata dal fatto che rivela come la guerra afgana sia terminata solo in teoria, mentre c’è persino un aumento di bombardamenti suicidi e attacchi fatti per destabilizzare la vita civile.

Una sequenza di foto per  l’italiano Alessio Romenzi, 3° premio per le ‘Notizie Generali’, che racconta i combattimenti per togliere la città di Sirte al controllo del gruppo degli Stati Islamici (Is). “Uno scatto eccezionale – ha sottolineato Babette – è quello dove si vede la cattura di un combattente dell’Isis, momenti che di solito non vengono mai mostrati”.

“Mediterranean Migration” di Mathieu Willcocks/MOAS.eu 2016,per World Press Poto 2017 a Ferrara

Immagini scattate in Siria da fotografi siriani quelle nella prima stanzetta del piano terra del Pac di Ferrara, con la foto singola delle due bambine ferite realizzata da Abd Doumany, “nome fittizio dell’autore, che è un paramedico e non può rivelare la sua vera identità”, e quelle di Walid Mashadi, “che ha 21 anni ed è il fotografo più giovane fra quelli premiati; è riuscito a scappare dalla Siria raggiungendo la madre a Parigi solo dopo che era già avvenuta la consegna ufficiale del Premio”.

Una foto che colpisce per l’insieme denso di colori e vita racchiuso nella stiva di una nave con a bordo i clandestini al largo delle coste della Libia quella dell’inglese Mathieu Willcocks, 3° premio per le ‘Spot News’, mentre meno nota è quella della sua stessa serie con la macchia arancione del naufrago che spicca per il suo giubbotto di salvataggio in mezzo al blu del mare e del cielo. “Il fotografo – ha detto Babette – ci ha raccontato che quando si sono avvicinati per prendere a bordo quel naufrago, si sono accorti che in realtà era morto. I salvataggi avvengono spesso quando è ancora buio e nel caos vengono lanciati i salvagente ma alcune delle persone soccorse non sanno nuotare e non riescono a farcela lo stesso”. Ancora un ammasso di umanità, ma in questo caso stipata all’interno di una prigione delle Filippine, quella di Noel Celis, fotografo filippino vincitore del 3° premio foto singola della categoria ‘Notizie Generali’. “Il sovraffollamento delle carceri filippine – ha spiegato Babette – è legato alla campagna di lotta contro la droga portata avanti dal nuovo presidente in carica. Amnesty International riferisce che questo ha portato a violazioni dei diritti umani, con una diffusione di uccisioni sommarie portate a termine in strada da parte della polizia e anche di civili armati”.

All’aspetto delle uccisioni indiscriminate anche nei confronti di persone che si sarebbero arrese è dedicato il primo premio della stessa categoria ‘Notizie Generali’ assegnato al reportage di Daniel Berehulak, fotoreporter indipendente di origine australiana con base a Città del Messico.

“Taking a stand in Baton Rouge” di Jonathan Bachman (World Press Photo 2017 a Ferrara)

Molto famosa la foto dello statunitense Jonathan Bachman con la ragazza nera vestita con un abito scuro e completamente disarmata che affronta il poliziotti bardati dai piedi fino alla cima della testa chiusa nei caschi anti-sommossa davanti al dipartimento di Baton Rouge, in Louisiana, per la manifestazione contro l’ennesima uccisione di un uomo di colore da parte delle forze di polizia (1° premio scatto singolo per la categoria ‘Questioni contemporanee’). Babette ha fatto osservare l’efficacia della suddivisione dell’immagine, che “sulla metà di sinistra ritrae le forze armate dall’aspetto disumanizzato di automi e, sulla metà di destra, la positività vitale umana e disarmante della giovane con viso e braccia esposte e sullo sfondo l’albero, il prato e la natura che sono simboli di vita”.

Reportage di Amber Bracken delle proteste in Dakota contro il passaggio del gasdotto sotto il fiume (foto Luca Pasqualini)

Un’altra protesta è documentata da Amber Bracken, canadese, vincitrice del 1° premio della stessa categoria ‘Questioni contemporanee’, con la serie di foto fatte in Dakota a testimoniare la lotta degli indigeni contro il progetto di far passare un gasdotto, che viene chiamato Black Snake (serpente nero), nel sottosuolo del fiume Missouri, prima fonte di acqua potabile per la popolazione.

Scattate per il New York Times le foto di Tomás Munita, di origine cilena, che dopo la morte di Fidel Castro per realizzarle – dice Babette – è andato a Cuba con moglie e figli vivendoci per oltre un mese. Il WPP gli ha assegnato il 1° premio di storie di ‘Vita quotidiana’ perché è riuscito a rappresentare questa realtà dal di dentro.

Lalo De Almeida è un fotografo brasiliano premiato per il reportage sulla madre dei due gemelli affetti da microcefalia a causa di un virus (2° premio ‘Questioni Contemporanee’, storie).

Spagnolo il fotografo Jaime Rojo, che documenta l’invasione delle farfalle monarca che migrano dal Messico agli Stai Uniti e che – ha detto Babette – arrivano talmente numerose da far spaccare per il loro peso i rami degli alberi dove si posano (3° premio ‘Natura’).

Racconta una comunità isolata nel nord est della Russia la sequenza di immagini della fotografa russa Elena Anosova (2° premio, storie di ‘Vita quotidiana’).

World Press Photo 2017 a Ferrara: Francesco Comello

Tra i quattro italiani vincitori, Francesco Comello, che – ha lodato Babette – mostra con grande poesia le giornate all’interno di un comunità spirituale ed educativa che si trova in uno spazio ritirato sulla strada trafficata verso Mosca, in Russia (3° premio, storie di ‘Vita quotidiana’) e Antonio Gibotta, «specializzato in festival strani», che qui immortala la festa annuale che simula un colpo di stato, messo in scena con farina, uova e petardi (2° premio, storie di ‘Persone’). Della stessa categoria il ritratto femminile che Babette segnala come particolarmente bello per l’intensità e la dignità che emana al di fuori degli stereotipi sulle donne africane: quello del neozelandese Robin Hammond con tratti che rivelano la personalità spiccata di una donna del Sudan del Sud, afflitta da malattia mentale dopo la nascita del suo sesto figlio  (2° premio scatto singolo di ‘Persone’).

“Praying for a Miracle” di Robin Hammond

Spettacolari le immagini della categoria ‘Sport’: 1° premio per scatto singolo all’inglese Tom Jenkins. Il reporter è riuscito a immortalare la rovinosa caduta di cavallo e cavaliere posizionando la macchina con scatto a distanza nel tratto più insidioso della gara in una giornata di pioggia a Liverpool, in Inghilterra. Acrobatico pure il tuffo del tennista francese Gael Monfils nei campionati di tennis Australian Open a Melbourne, in Australia, che fa vincere il 2° premio per scatto singolo categoria ‘Sport’ all’australiano Cameron Spencer, “che – secondo Babette – conoscendo questa propensione a buttarsi dell’atleta aveva posizionato la macchina in orizzontale per riuscire a cogliere l’acrobazia di Gael in sospensione con la sua ombra disegnata nettamente sotto di lui”.

“The Dive” di Cameron Spencer per World Press Photo 2017 a Ferrara

Sembrano immagini quasi irreali quelle di Bence Matè (ungherese, 3° premio storie categoria ‘Natura’). Ma il World Press Photo non ammette ritocchi e per immortalare così questi elefanti monumentali sotto al cielo stellato africano, l’autore usa virtuosismi tecnici: il grandangolo di 15mm puntato dal basso in alto restituisce il senso di grandezza del soggetto e poi lo scatto con un tempo lentissimo, 25 secondi di apertura dell’obiettivo! Ecco allora i puntini luminosi delle stelle che si imprimono sullo sfondo, mentre gli animali restano sorprendentemente fermi.

“Now you see me” di Bence Maté – WPP 2017

Il limite della selezione di immagini per Babette sta nel fatto che resta un premio con una partecipazione fatta in massima parte di uomini bianchi provenienti quasi tutti da Paesi anglo sassoni. «Sarebbe interessante – ha commentato la curatrice – che ci fossero più donne e più fotografi di Paesi emergenti, perché potrebbero fare emergere una sensibilità e un modo di rappresentare la realtà sicuramente differenti. Per questo con il WPP facciamo dei laboratori, ad esempio in Africa, per cercare di far venire fuori sguardi nuovi».

‘World press photo 2017’ al Padiglione d’arte contemporanea-Pac, corso Porta Mare 9, Ferrara. Fino al 29 ottobre, ore 10-13 e 15-19, lunedì chiuso. Ingresso: biglietto intero 4 euro, ridotto 3 euro, gratuito per bambini 0-6 anni e persone con disabilità

Per info: Padiglione d’arte contemporanea, tel. 0532 244949 o 0532 203064, sito www.artecultura.fe.it, su www.internazionale.it e la pagina con tutti i premiati www.worldpressphoto.org/collection/photo/2017

Visitatori in coda per la mostra World Press Photo a Ferrara (foto Luca Pasqualini)
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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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