Skip to main content

A voi “Big Eyes” o “Big Lies”, ovvero la storia degli occhioni sgranati di Margaret Keane, una delle più clamorose frodi della storia dell’arte. Una differenza sottile fra realtà e finzione è il filo conduttore di questo bellissimo film di Tim Burton, uscito a gennaio nelle sale italiane e che ha come protagonista una donna derubata della sua identità di artista da un marito che le fa credere di amarla, quando vuole solo sfruttare il suo talento. E appropriarsene.

grandi-occhi
La locandina

Una storia vera, raccontata dal giornalista scandalistico Dick Nolan. Quella di Margaret Ulbrich (poi Keane), che dipinge giorno e notte, e del marito Walter, pittore dilettante e incapace ma abile venditore che si spaccia per l’autore reale. E negli anni ‘50-‘60, quando non sempre le donne erano valorizzate, tutti osannano lui, tutti vogliono i suoi quadri, quelle tele favolose che ospitano bambine dagli occhi immensi e tristi, occhi che squadrano, osservano, esaminano, inquisiscono, inquietano, un po’ pure spaventano. Mentre la moglie è costretta al super lavoro e all’invisibilità più totale. I due si conobbero a San Francisco, nel 1955, durante una mostra. Lui era un agente immobiliare e come hobby dipingeva dei vicoli di Parigi, dove diceva di aver vissuto. Lei ne fu subito affascinata, colpita da intraprendenza e carisma.

I primi due anni della loro vita furono felici, ma tutto cambiò una notte in cui Margaret accompagnò il marito in un club di San Francisco dove si esibivano comici come Lenny Bruce e Bill Cosby e si accorse che lì, Walter Keane, vendeva i quadri con i bambini dai grandi occhi e se ne prendeva il merito. Margaret si rese conto improvvisamente che ai suoi committenti e ai vari clienti, Walter raccontava una grande bugia. Ma per bisogno di soldi e paura di essere accusati di truffa, la bugia sarebbe continuata per anni. E mentre (erano gli inizi del 1960) si vendevano milioni di poster e cartoline con i bambini dagli occhi grandi e persone famose come Natalie Wood, Joan Crawford, Dean Martin, Jerry Lewis, Adriano Olivetti e Kim Novak compravano gli originali, la vita della coppia cambiava tristemente e miseramente. Margaret continuava a dipingere nella sua gabbia d’oro (in una grande e lussuosa villa con piscina), triste, angosciata e mentendo alla figlia Jane avuta dal primo matrimonio, l’unica vera persona per lei importante.

grandi-occhi
Margaret Keane oggi, tra due dei suoi quadri

Persa in una relazione morbosa, pericolosa e dannosa che si sarebbe degradata completamente fino a condurre a un burrascoso divorzio e al tribunale, negli anni ‘80. Alla fine, in sede giudiziaria, Margaret, ritiratasi nel frattempo in piena solitudine alle Hawaii, dove aveva continuato a dipingere, avrebbe avuto riconosciuti i suoi diritti, dopo il clamore e gli scandali iniziali. Grandiosa la scena in tribunale nella quale il giudice, per dirimere la questione, chiese ai coniugi di dipingere un bambino dagli occhi grandi proprio lì davanti a tutti, in aula. Margaret finì il quadro in 53 minuti. Walter disse che non poteva farlo perché aveva male a una spalla. Lei vinse la causa, fu autorizzata a firmare da quel momento i dipinti e venne stabilito un mega risarcimento di 4 milioni di dollari: ma lei non vide mai un centesimo, perché l’ex marito aveva speso tutto e non aveva ormai più nulla. Walter Keane morì nel 2000.

grandi-occhiMa che cosa guardavano quegli occhioni sgranati delle bambine dipinte in serie da Margaret Keane? Non si sa, e qui sta il bello. Ognuno poteva e può pensare ciò che vuole. Margaret, ancora vivente e un po’ dimenticata, oggi è rivalutata quasi come una sorta di paladina dei diritti delle donne, precorritrice dei tempi a loro dovuti, capace di ribellarsi al marito impostore, despota, mitomane e schizofrenico e di veder riconosciuti in pieno i suoi diritti. Un buon film sull’emancipazione femminile dell’epoca, sulla manipolazione dei media e del marketing rispetto all’arte e su pregi e virtù di un periodo mutante per l’America coincidente con la Beat Generation di San Francisco.

“Lo scenario che hai dipinto ti si ritorce contro”, Margaret Keane

Big Eyes, di Tim Burton, con Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Jon Polito, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Terence Stamp, USA, 2014, 105 mn.

tag:

Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it