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Questa volta anche il senatore Razzi, nella esondante imitazione di Maurizio Crozza, deve inchinarsi ad un genio italico che continua a lasciare senza parole. Rimanendo in Parlamento, si viene a sapere che in commissione agricoltura della Camera dei deputati, una proposta di legge è stata presentata dal M5S per tutelare la pasta italiana. Un clamoroso “Tiè!” a tutti quelli che accusano i grillini di non essere propositivi, verrebbe da dire, se non ci fosse un seguito a dir poco stupefacente.
La difesa strenua del made in Italy nel nome del tandem Grillo-Casaleggio, era tesa a pretendere una repentina e risoluta chiusura del ponte levatoio contro la quantità eccessiva di grano saraceno, che finirebbe nei chicchi nostrani e maturati con tanto amore autarchico sotto il sole del Belpaese.
Peccato che grano saraceno non significhi affatto l’ennesimo pericolo ottomano, contro cui scatenare una nuova Lepanto agroalimentare. Immaginiamo che i produttori italiani abbiano sentito un brivido lungo la schiena causato dallo sfondone legislativo, levando al cielo non proprio lodi e canti.
Di fronte a cotanta gaffe come non pensare alla faccia di Totò che, guardando obliquamente l’onorevole di fronte, se ne uscì col celebre: “Ma mi faccia il piacere!”. Peccato, pure, che solitamente di grano attribuito per sbaglio allo spettro della mezza luna non ce ne sia per niente nella pasta, se si fa eccezione, credo, per qualche ricetta tipica locale.
E se poi il grano fosse effettivamente di importazione dal feroce, e sacrilego, usurpatore di Gerusalemme, come mai il rude spirito leghista avrebbe permesso, silente e così a lungo, questa contaminazione terrona della polenta lombardo-veneta?

Il proponente pentastellato (a quanto pare già salito agli onori della cronaca per avere scritto su un modulo: “italiano” a fianco della richiesta di specifica dello stato civile, invece di “celibe”), ha candidamente dichiarato di essere laureato in ingegneria meccanica, ma precisando subito di essere molto curioso e di avere ingurgitato nel frattempo tomi e libri sulla materia. In effetti stavamo in pensiero.
Non pago, il deputato si sarebbe precipitato a dire che il grano saraceno non è neanche grano, ma una specie di cucurbitacea. Incuriosito, sono andato su Wikipedia. Non so se la fonte sia attendibile, ma già nelle prime righe sta scritto: “Per le sue caratteristiche nutrizionali e l’impiego alimentare, questo vegetale è stato sempre collocato commercialmente tra i cereali”. È proprio vero che il più bel tacer non fu mai detto.
Speriamo solamente che il convertito, ahinoi, alla tutela degli interessi dell’agricoltura tricolore non estenda il proprio furore normativo, che so, al granoturco, all’insalata russa, oppure alla zuppa inglese, magari riesumando il pericolo della perfida Albione.
Per non parlare dei cavolini dei Bruxelles, specie per chi uscirebbe dall’Unione europea domattina stessa.

Del resto il movimento guidato, si fa per dire, da un comico genovese e da uno che non deve avere buoni rapporti con i barbieri, ha regalato alcune chicche imperdibili anche durante l’ultima campagna elettorale per le elezioni amministrative locali.
Per prima cosa la candidata a sindaco di Ferrara è andata a Bologna per un comizio, nel quale ha esortato i ferraresi (sic!) a liberarsi da oltre 60 anni di dominio democristiano (sic!). Poi ha aggiunto che Ferrara è stata ulteriormente provata dal terremoto del 2011 (a risic!).
In una successiva intervista pubblicata in video su Estense.com dichiara di essere a favore dei temi ambientali e naturalmente contro le politiche locali inquinanti, mentre si fa scarrozzare a bordo dell’auto dell’intervistatore che, supponiamo, vada ad energia elettrica prodotta dalla sola combustione di granoturco. Anzi no, per carità, italiano, a chilometro zero ed assolutamente biologico.

Ma la perla finale l’ha regalata un candidato durante il comizio di chiusura della campagna elettorale per il capoluogo. Ha detto di essere un insegnante e anche una guida turistica a metà tempo.
Punto primo, ha chiesto che la Provincia liberi dagli uffici il piano nobile del Castello Estense. Cosa già avvenuta anni fa.
Punto secondo, che la via Coperta che congiunge il Castello Estense col Palazzo Municipale sia aperta al pubblico e percorribile. Anche questa è cosa già fattibile da anni.
Ultimo, che i turisti possano visitare liberamente gli affreschi del ‘200 (o del ‘300, non ho compreso bene) della sala dell’Arengo in Municipio. È appena il caso di ricordare che gli affreschi in questione portano la firma del pittore ferrarese Achille Funi, il quale realizzò il ciclo fra il 1934 e il 1937 ispirandosi a storie dell’Ariosto.
A voler essere pignoli il genio cinquestellato arriva a compiere il record di due svarioni in un colpo solo. La prima è che il Funi al tempo di Duccio Da Buoninsegna (a costo di essere pedante, non il centravanti della nazionale di calcio del 1970), non era nemmeno lontanamente nei pensieri dei suoi antenati. La seconda è che rimane un mistero come il cinquecentesco Ariosto potesse narrare vicende da par suo, laddove fosse vissuto in pieno Medioevo.
A volte si è davvero assaliti dal dubbio se esista un limite alla sopportazione di un paese nel quale la diritta via è da tempo smarrita.
Del resto, in questi giorni perfino Gasparri interviene in difesa della Rai (“Merito una statua in Viale Mazzini”), senza che nessuno dica bau.

Pepito Sbazzeguti

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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