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(pubblicato il 23 aprile 2015)

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo in anteprima la prefazione a “Gruppo d’azione”, romanzo ‘biografico e collettivo’ scritto da Filippo Landini e Alessandro Casolari, che sarà presentato venerdì a Ferrara [leggi il comunicato].

di Enrico Testa*

L’orgoglio, tanto per cominciare. Gli amici chiedono queste righe. Non è la prima volta. La prefazione al libro dell’allenatore-mito (Gibì), quella dei personaggi simbolo della Spal dietro le quinte (Cazzanti e Guirini), le altre per le “prime” letterarie dei bomber o di altri personaggi che hanno fatto la storia in bianco e azzurro. Ma tutto rigorosamente catalogato in un ideale comparto sportivo e soprattutto locale. Qui no. Lo sport è il contorno, di locale c’è poco, di calcio ancora meno. Ecco, a colpire è la mancanza di filtri, la testa alta proprio come in quegli anni nell’andare contro un giudizio che, se superficiale, diventerà banale, pieno di stereotipi. La testa alta, vale la pena ribadire, che trasudano queste tante righe fatte di racconti e fatti ed episodi e sciagure. Sociologia pura. Cronaca vera. Autocritica sincera. Forte, viva, tosta. Chi scrive, da ragazzino, di queste trasferte così bene raccontate ne ha fatte qualcuna e di questi personaggi ne ha conosciuti diversi. Tanto per dire: mi capita ancora oggi di ricordare una partita a Prato, meglio: il viaggio verso quella partita. Con un controllore delle Ferrovie dello Stato che voleva, giustamente, fare il suo lavoro, quindi controllare i biglietti, ed è finito scaraventato giù dal vagone in corsa. Dice: c’è nulla da vantarsi. Appunto. Questo è il tema di questo trattato. Trattato, insisto. Che racconta meglio di qualunque altro testo una generazione di provincia, nella fattispecie nel buco del culo di un’Italia benestante, almeno in quegli anni, ma un’Italia già povera, di idee e valori e alternative e modelli com’era il Belpaese negli anni Ottanta e com’era Ferrara.
gruppo-azioneTra una trasferta e l’altra, in mezzo a uno striscione o a uno slogan, nel racconto di alcuni “preparativi”, in tutto questo trattato, ri-insisto, c’è la disperazione, la costrizione, la voglia di ribellione, la denuncia, il corso delle cose di una città, Ferrara, e dei suoi (cattivi) ragazzi. Tra questi, qualcuno non c’è più, molti bazzicano lontano da qualsiasi tipo di struttura sportiva, qualcun altro ce l’ha fatta. È vivo. È una notizia. Quelli che in quella curva, la Ovest, ci sono cresciuti o semplicemente passati, saranno i primi a farsi colpire (stavolta loro) da queste pagine che vi apprestate a leggere. È successo anche a me. Ci sono storie che fanno male soprattutto se le hai condivise e una testa ce l’hai ma è questo, è il bello. Sconti zero, auto assoluzioni anche di meno. Gruppo d’Azione. Fermiamoci qui. Personalmente provai un brivido quando partecipai, anche se in disparte, alla nascita di questa “banda”. Capisco soltanto ora che ho letto, in anticipo, il libro che tra poco comincerete qual era la genesi. Non avevo capito una mazza, con la emme minuscola, nessun riferimento al Commendatore Paolo. Di più: avevo decisamente travisato le origini, il senso politico, i riferimenti culturali. Pensavo l’opposto. Scopro ora, e mi provoca un piacere quasi pari a un gol decisivo destinazione serie B, che i sensi di colpa per quella, ormai antica, partecipazione erano assurdi. Anzi. Era un’azione figlia della disperazione di cui sopra, della voglia di buttarla giù quella nebbia opprimente che cancella la crescita, i gusti, la cultura nel suo senso più vero e per nulla snob. Era azione punto e pasta. Fare. Partecipare. Anche distruggere. Ma cambiare. Con modi più che discutibili, con fatti da cronaca nera, con violenza ingiustificabile. Ma sempre di azione si tratta. Non devo essere io a ribadire, come si dice a scuola con scarsi risultati educativi, che certe cose non si fanno e via di questo retorico passo. È evidente, banale, indiscutibile. Ma lo scrivono già gli autori di questo trattato sociologico. Subito. Dalla prima parola all’ultima. Nudi, a mani alzate, con assunzione di responsabilità estrema. Credo fortemente che, non soltanto a Ferrara, faccia assai bene a tutti – non al mondo curvaiolo che già sa, per essere chiari – leggere attentamente le pagine che seguiranno. È passata una vita, siamo messi addirittura peggio, ma in quel movimento c’era una speranza, un obiettivo, un’idea. Che è fallita, ha perso, è stata sviluppata in modo più che discutibile ma l’idea c’era, la voglia di cambiare pure. È tutto in quell’ispirazione del nome. Gruppo d’Azione. Una canzone. I Clash. Un movimento. Una politica nel senso più bello e puro del termine. Quasi trent’anni dopo qui gli eroi, si fa per dire, non sono mai stati giovani e belli. Ma a modo loro, sempre di eroi si trattava. Basta leggere senza pregiudizi. La critica c’è già e si respira, riga dopo riga, dagli stessi protagonisti. gruppo-azioneTutto il resto, oltre che noia, è retorica. Oppure soddisfazione. La mia. Di scrivere, con emozione, queste righe, che per la prima volta in vita mia (“grazie ragazzi” cantata a mo’ di coro da curva) non possono che finire in uno scomparto che non è quello sportivo. Sociologia, storia…fate voi, cari librai. Gruppo d’Azione è uno spaccato. Una singola storia di tanti protagonisti. Ma la realtà è, era, un’altra. E qui si capisce bene. Una concessione, per chiudere, e un omaggio più che altro, a quel mondo del quale ho fatto parte senza alcun rimpianto. Io c’ero. Alzo il mio “due aste” con orgoglio. Volevamo cambiare, spaccare con la nostra “misera” ribellione di provincia. Siamo usciti sconfitti. Massacrati da quelli che hanno principi e valori definiti sani e oggi hanno cambiato idea e di bandiera ne sventolano una diversa alla settimana. Ma sulla coerenza, sull’ideale (no, non sono morte, cazzo, le ideologie!) abbiamo invece vinto. Se ne accorgeranno tra qualche anno o secolo ma se ne accorgeranno. E qualcuno, allora, quelle due parole se le ricorderà o comunque evocheranno qualcosa. Gruppo d’Azione. Sfondo blu. Scritta bianca. Metri e metri di tela. Solo trasferte. La sfida era soprattutto questa. La minoranza che non si arrende. La minoranza che sfida. Ci fosse oggi un partito politico con queste idee, ma ribadisco con altri modi di affrontarle, chiedo da qui la tessera numero uno. Nel frattempo, mi raccomando, che il genere di catalogazione sia – insisto – sociologia o storia. La storia del Gruppo d’Azione. La storia di una generazione di provincia. La storia di una città minuscola, magnifica, ignorante nel senso più assolutorio del termine. La storia di una ribellione soffocata da chi, anni dopo, ha soffocato molto più di una ribellione […]

* caporedattore redazione calcio, Rai sport

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Redazione di Periscopio

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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