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11 luglio 2017, ore 15. Ignaro di quello che sta succedendo, causa una vacanza forzata, esco di casa per fare una semplice passeggiata. Una volta fuori però lo spettacolo che mi si presenta ha qualcosa di assolutamente insolito: una nube di fumo, gigantesca, altissima, che ingloba buona parte del cielo sopra di me. Non è chiaro da dove si alzi, all’inizio penso sia stato dato alle fiamme qualche bosco dell’avellinese, vicino al mio paese. Ma non è così. Qualche ricerca sul pc, qualche messaggio, ed ecco che si sprofonda nell’inferno: brucia il Vesuvio, a Caserta svariati focolai, bruciano i monti Faliesi e la montagna di Montoro in provincia di Avellino. Svariati ettari in fiamme anche nel salernitano. Questo è il quadro che intercetto solo in Campania. Allargando per un attimo il campo di azione mi imbatto in altri incendi, ma soprattutto uno mi colpisce: a Messina, una mia amica, quasi in lacrime, mi dice che c’è gente che sta scappando da casa. A San Vito lo Capo, in provincia di Trapani, 700 villeggianti di un resort turistico sono dovuti fuggire a bordo di imbarcazioni. Il sindaco ha addirittura postato sui social un messaggio nel quale invitava chiunque avesse un’imbarcazione in buono stato a contribuire al salvataggio.
La situazione è davvero drammatica. Nel tardo pomeriggio il cielo si schiarisce e anche le notizie sembrano essere più confortanti. Ma non è così.

Il giorno dopo (12 luglio) prendo la macchina e decido di percorrere qualche chilometro per osservare il risultato di questi vasti incendi. Subito, nemmeno qualche metro della strada statale che collega il mio paese all’avellinese, si possono vedere le prime chiazze nere che lambiscono la strada. Più vado avanti e più aumentano, sia per la dimensione sia per i danni causati. Arrivato ad Avellino, il cielo ha uno strano colore. Il sole appare anemico. Contatto un mio amico nel napoletano, mi urla al telefono “animali, hanno usato gli animali!!” Capisco che la situazione è davvero grave. Sul Vesuvio, che sta ancora bruciando, si diceva infatti che i piromani abbiano usato gatti imbevuti di benzina per propagare gli incendi. La notizia è di quelle che ti fa definitivamente smettere di credere nell’essere umano. Mi dico che abbiamo totalmente fallito come specie. Gli investigatori per ora hanno escluso questa ipotesi, ma per quanto riguarda la natura dei roghi sia la procura di Torre Annunziata, sia quella di Napoli hanno aperto un fascicolo per l’ipotesi di incendio boschivo doloso. La nube di fumo intanto si alza alta, più ci si avvicina al napoletano, più la nube si espande, gli occhi iniziano a lacrimare, l’odore acre rende difficile persino respirare.

Tornato a casa mi rendo conto che solo in Campania ci solo oltre 100 roghi. Gli uomini che stanno lavorando sono oltre 600. Le accuse che vedo piovere sono infinite.
A. parla di “speculazione emergenziale“, “adesso si è perso il controllo, aziende distrutte, pericolo di vite ed evacuazioni”. Poi c’è chi come V. fa notare che “anni e anni di speculazione mala gestione da parte delle amministrazioni… e poi questi sono i risultati…”. Il coro dell’indignazione sembra concorde su una cosa: la colpa degli incendi, almeno in parte, sarebbe di chi amministra o ha amministrato in passato.
E c’è sempre, purtroppo, strisciante, quel timore che tra i roghi ci sia lo zampino della malavita. Un altro mio contatto di San Giorgio a Cremano mi dice “stanno bruciando di tutto lassù, ne approfittano per bruciare di tutto. Ci stanno intossicando”. Persino l’Asl si è attivata per monitorare un aumento previsto delle polveri sottili e la Regione sembra voler chiedere lo stato di emergenza.
La nube intanto, quella campana, ha raggiunto proporzioni incredibili e, osservando immagini satellitari, si vede come dal Vesuvio sia arrivata sino in Salento. Chilometri e chilometri di fumi di chissà quale natura.
Nel frattempo, una sola notizia mi conforta in questa tremenda tragedia che sta colpendo tutto il meridione: la Forestale, contattata dal Corriere, ha smentito l’uso di animali per la propagazione degli incendi. Ma sulla questione ‘dolosità’ non sembra ci siano dubbi.

Iniziano ad arrivare anche le prime battute politiche, con il ministro Galletti che promette 15 anni di carcere ai piromani. Peccato che in Italia siano pochissimi gli accusati di questo reato ad arrivare a sentenza definitiva con la condanna per incendio boschivo aggravato, che farebbe appunto scattare i 15 anni. La gran parte (e sono comunque pochissimi) è incarcerata per incendio semplice: la pena si aggira sui 7 anni. Naturalmente insieme alle condanne, arrivano anche le accuse: chi condanna i piani di prevenzione, chi parla addirittura di concussione, e chi invece semplicemente dice che si fa poco per la difesa.
Nel frattempo il Sud continua a bruciare e le situazioni più tragiche restano il vesuviano e il messinese.
Questo periodo è stato davvero terribile per quanto riguarda il fuoco: incendio a Londra, incendi in giro per l’Italia, ora Vesuvio, Messina. E proprio mentre scrivo quest’articolo, leggo sull’Ansa che a Firenze un uomo di 56 anni è morto nella notte per il rogo del suo appartamento.
Ora le fiamme sembrano quasi domate, o almeno sotto controllo. Adesso inizia il momento delle indagini. Un solo dato da segnalare su questo: nel 2017, secondo il dossier incendi di Legambiente, sono andati in fumo, solo nell’ultimo mese, più di 26.000 ettari di bosco. Numeri che fanno davvero paura.
Dopo questi giorni il mio rientro a Ferrara si avvicina, lì non è tanto il fuoco a spaventare, quanto le famigerate ‘bombe d’acqua‘, che hanno messo a dura prova sia la costa che il modenese pochi giorni fa. L’Italia è divisa anche sulle calamità mi dico ironicamente. Ma poi riguardo le foto di questi giorni e posso essere certo di una cosa: ho visto l’inferno, da lontano, e mi ha fatto paura.

Resti di un incendio
La foschia creata dai fumi del Vesuvio nell’avellinese
Il Vesuvio visto da San Giorgio
Mezzi di soccorso in azione

Foto: Giovanni Alberico, Carmen Covino, Jonatas Di Sabato [clicca sulle immagini per ingrandirle]

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Jonatas Di Sabato

Giornalista, Anarchico, Essere Umano

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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