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Molti i documenti inediti italiani e tedeschi, più di 200 i titoli consultati dall’esperto di storia militare Andrea Rossi che con il suo quarto saggio “Il gladio spezzato”, la mostrina dei repubblichini, ricostruisce l’ultima settimana di guerra, dal 25 aprile al 2 maggio del 1945, dell’esercito di Mussolini. Nel libro (edizioni D’Ettoris – collana Biblioteca di Storia sociale italiana), che sarà presentato il 16 aprile, alle 16.30, al Museo del Risorgimento di Ferrara, lo storico indaga tradimenti, ingenuità, voltafaccia, doppi giochi e atti di valore che ebbero come protagonisti i soldati della Repubblica di Salò, una decina dei quali vennero fucilati sulla sponda del Po dai partigiani ravennati di Bulow, Arrigo Boldrini, ad Ariano Ferrarese.

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Andrea Rossi

“Una vicenda poco nota – spiega Andrea Rossi – I repubblichini furono disarmati dai ferraresi e consegnati ai ravennati, i quali avevano diversi conti da regolare come dimostrano gli episodi drastici di cui furono protagonisti durante la risalita in Veneto. Il loro agire è da considerarsi la risposta allo squadrismo romagnolo, che era stato tra i più aggressivi”. Dal canto loro i ferraresi non s’aspettavano l’epilogo immediato e sanguinoso ordinato da Boldrini, tanto che, dice Rossi, “falsificarano il verbale di consegna per prendere le distanze dalla fucilazione”.

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La copertina del libro

In quei sette giorni morirono tra i 4-5mila repubblichini, la variabile volutamente esclusa dalle trattative di resa tra il plenipotenziario delle forze armate tedesche, Karl Wolff e Allen Dulles, del servizio segreto statunitense Oss (Office of strategic service), progenitore della Cia. I tedeschi volevano andarsene dall’Italia senza subire troppe perdite e gli Alleati erano decisi a evitare di restare coinvolti in una guerra “interna” come quella greca tra nazionalisti e comunisti. “I repubblichini erano stati abbandonati – afferma – il duce in fuga verso la Svizzera e i tedeschi indifferenti al loro destino tanto da usarli per coprirsi le spalle e arretrare verso il Brennero. E’ tutto documentato”. Il generale Eccard von Gablenz, alto ufficiale dell’organismo di difesa delle retrovie della 10° armata, si accordò per la ritirata senza farne parola agli italiani e l’esercito di Mussolini, circa mezzo milione di uomini, sprofondò nel caos di una guerra civile – diecimila morti tra militari e civili – riconosciuta come tale solo alla fine del Novecento.

Considerati traditori dal ’43, quando il Regio esercito entrò in guerra con la Germania, i repubblichini rei di aver collaborato con l’invasore tedesco e disorientati dagli eventi, cercarono la salvezza nella diserzione o nella resa ad americani e inglesi per evitare i tribunali straordinari istituiti dal Cln. Il tentativo di evitare la fucilazione non sempre diede l’esisto sperato, il caso dei soldati della Rsi bresciani, che si arresero al Cln di Lumezzane nel medesimo giorno in cui si resero responsabili di una rappresaglia, finì con la fucilazione. “Ci furono anche casi in cui si formarono alleanze dell’ultima ora tra gli alpini di Mussolini e i partigiani, successe a Gorizia dove stavano avanzando i titini e in Val d’Aosta, dove i francesi tentarono l’invasione della valle”, continua. Erano alleanze strategiche dovute alla volontà di mantenere i confini italiani inalterati. E, in qualche modo, limitarono il numero delle vittime del conflitto civile che ebbe pesanti strascichi per i militari dell’Rsi in Piemonte, dove nel Cuneese i morti furono centinaia.

Dettagli, carteggi, eventi minori si inanellano nel libro di Rossi, una vera e propria guida rivolta a chi si occupa o è appassionato di storia militare: “I 200 titoli e i documenti consultati sono un buon punto di partenza per chi desideri approfondire determinati fatti”, dice. Una guida di storia militare, sei anni di lavoro e la consapevolezza che oggi, grazie alla lente del tempo e alle sterminate possibilità di documentarsi, la qualità dei libri di ricerca sia molto più alta rispetto al passato e maggiormente esente da operazioni ideologiche.

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Monica Forti


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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