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Devo ammettere, sono abbastanza delusa, per alcuni versi, da una città che sta rinascendo culturalmente e che si vanta di ospitare grandi mostre e nuovi eventi. Idee innovative e proposte interessanti, che vanno dalle esposizioni floreali dei giardini estensi, alle cene nelle vie del centro storico e alle mostre del Castello estense o del Palazzo dei Diamanti (per citarne solo alcune), possono passare in secondo piano se i servizi che le accompagnano non sono adeguati. E quando parlo di servizi, parlo di servizi nel senso più semplice e corporale della parola, i servizi igienici, o più semplicemente i bagni pubblici. Da anni giro per il pianeta, per lavoro e per passione, mi ritengo una cittadina del mondo con le radici nel cuore di Ferrara, e in tutte le città turistiche che si rispettino vi sono cabine a pagamento per espletare i bisogni corporali. Ferrara no, non ne ha, non ci pensa, non se ne cura, il cento storico è diventato un orinatoio pubblico, di sera e di mattina presto, quando si attraversa la bella città ancora semi deserta avvolta nella sua aura magica, si vedono i segni. La bella via Cairoli o i portoni antichi di via Carlo Mayr o della zona di via Ragno e di via delle Volte (ma non solo) sono marchiate, gli angoli delle bellissime strade ciottolate sono sporchi e maleodoranti. Non è un bello spettacolo né per il cittadino né per il turista.
Si dice che la qualità di un ristorante si misura dai suoi bagni, così come quella di un albergo dal colore delle sue lenzuola (che devono essere rigorosamente bianche). Così credo che il livello di una città si deduca dalla cura e dalla pulizia delle sue strade. Perché allora non mettere cabine a pagamento, ovviamente da tenere pulite per garantire a cittadini e turisti la possibilità di passeggiare per strade pulite e non chiazzate da ombre irritanti? Basta studiare un po’ cosa fanno le grandi metropoli, tipo Parigi o Mosca, e qualche idea la si può anche recuperare.
A Parma, poi, qualche anno fa, alcuni “orinatori” zelanti si sono ritrovati a pagare multe salate. Se, quindi, orinare in strada costasse caro, magari sarebbe un deterrente. Trecento euro a pipì, nella ingegnosa e produttiva città emiliana. Se si cominciasse a ragionare così, vedi poi che ci si pensa bene prima di farlo. Nel 2012, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 40012/11, aveva anche stabilito che urinare in luogo pubblico è reato a prescindere dal fatto che la condotta possa essere stata messa in atto in un luogo buio e appartato. È sufficiente la sola possibilità che il gesto contrario alla pubblica decenza venga percepito da terzi. Qualche mezzo c’è allora, per evitare una deturpazione notturna quotidiana. Con un po’ di controlli, di vigilanza, di severità al punto giusto e, ovviamente, di luoghi a disposizione per espletare un bisogno fisiologico che non si può negare a nessuno, la città potrebbe essere più presentabile ed essere il gioiellino brillante e luccicante che è. Un appello dunque ai nostri amministratori. Pensateci e agite. Un bagno pubblico ‘troppo pubblico’ non si può più accettare.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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