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L’Ipsia “Ercole I d’Este”, Istituto professionale per l’Industria e l’artigianato di via Canapa, negli ultimi 12 anni ha attraversato una serie di avversità che ne hanno un po’ offuscato l’immagine. Ma le cose stanno notevolmente cambiando, da un paio d’anni c’è una vera e propria ‘rivoluzione’ in atto: un gruppo molto motivato di docenti, sostenuti e coordinati dal nuovo preside Roberto Giovannetti, sta risollevando le sorti dell’istituto attraverso una progettazione innovativa. Con l’avvio del nuovo anno scolastico hanno avviato un progetto sperimentale triennale molto articolato, rivolto a tutta la scuola, e in particolare alle classi prime, nell’ambito del protocollo d’intesa per la prevenzione del bullismo e delle devianze giovanili che vede coinvolti, tra gli altri Promeco, Provincia, Prefettura, ufficio minori della Questura e l’Università di Bologna.

ipsia-prima-parteDocenti e preside hanno contattato la redazione di ferraraitalia, perché sentivano la necessità di raccontare il grande rinnovamento che vede protagonisti docenti e studenti e che merita di essere reso pubblico. La sfida è quella di cambiare la percezione che gli studenti stessi hanno della loro scuola, e ciò sta avvenendo grazie al fatto che si lavora per aumentare la loro autostima e per migliorare le relazioni all’interno dell’istituto, e di svelare ai concittadini e agli operatori del territorio quel gioiello che l’istituto sta diventando. Il cambiamento di impernia su laboratori creativi che coinvolgono le classi prime, un laboratorio teatrale con metodo Cosquillas; quello di musica rap/hip hop e il laboratorio di video.

Abbiamo intervistato le docenti Anna Guglielmetti e Monica Santoro, referente del progetto, che insegnano all’Ipsia da sette anni e che fanno parte del Gruppo tecnico del Progetto Sperimentale, il dirigente Roberto Giovannetti, Massimiliano Piva operatore del Metodo Cosquillas di cui abbiamo recentemente parlato [vedi], e gli stessi alunni, per capire meglio cosa abbia portato, nel passato, al degrado e oggi al rifiorire della scuola.
L’intervista si divide in tre parti, di seguito la voce delle insegnanti.

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Ipsia, Istituto professionale per l’Industria e l’artigianato: i ragazzi tutor, da sinistra in piedi il vicepreside Gianluca Rossi, il regista Massimiliano Piva, in basso da sinistra il preside Roberto Giovannetti, le prof. Anna Guglielmetti e Monica Santoro

Gli ultimi dieci anni hanno fortemente modificato l’immagine dell’istituto, quali sono state le cause più rilevanti?
In primo luogo, con le diverse riforme della scuola, tra cui quella Gelmini, tutti gli istituti professionali hanno subito notevoli modifiche nel quadro orario e la diminuzione di ore di attività pratica di laboratorio, perdendo così, in parte, la loro connotazione originaria e snaturandosi. Inevitabilmente i nostri ragazzi stanno subendo questo forte cambiamento, infatti quando si iscrivono al professionale si aspettano una scuola che dia loro la possibilità di acquisire sin dal primo anno competenze che orientino al mondo del lavoro, e invece si rendono conto ben presto che molte ore del biennio sono svolte in modo frontale e che i contenuti sono prettamente teorici. Solo nel triennio, infatti, il professionale assume la sua specifica connotazione. Inizialmente questo li disorienta e li delude perché vorrebbero che ci fossero più ore di laboratorio, più tempo da dedicare “al fare”, al “toccare con mano”, a sperimentare saperi da acquisire lavorando con motori, circuiti elettrici, macchine. Per noi è molto difficile sopperire alla mancanza di ore da dedicare all’attività manuale e pratica, tuttavia cerchiamo di venire incontro alle legittime richieste degli studenti attivando il maggior numero possibile di laboratori e attività extra. A causa della discrepanza tra aspettative e realtà, talvolta si avverte un clima di disagio non solo tra i ragazzi, ma anche tra gli insegnanti che non sempre possiedono strumenti adeguati per affrontare la situazione.

Quante ore di laboratorio c’erano nel biennio prima della riforma e quante ora?
Parliamo di un calo sensibilissimo: prima delle riforme c’erano circa 18 ore settimanali di attività pratica (su 42 totali), poi sono passate a 10 (su 36 ore settimanali), e adesso, nel biennio, ne sono rimaste 3 su un totale di 33 ore; inoltre le discipline sono aumentate.

I ragazzi come reagiscono?
Loro esprimono il disagio con comportamenti poco funzionali, talvolta scorretti, di protesta, perché faticano a rimanere 5/6 ore al giorno seduti in aula ad ascoltare lezioni teoriche, quando pensavano di poter trascorrere le mattine in un’alternanza tra aula e laboratori, in questo si sentono “traditi”. Ovviamente, essendo ragazzi non esplicitano il disagio, oppure lo fanno ma con atteggiamenti sbagliati che provocano conseguenze sul profitto; nelle situazioni più gravi si può presentare il rischio di abbandono scolastico. Anche prima della riforma abbiamo dovuto gestire classi vivaci e in qualche caso problematiche, ma dopo la riforma la situazione si è aggravata.

Ricorda un po’ la situazione in cui versava la Città del Ragazzo anni fa…
Esatto, siamo in una situazione simile ed è proprio al loro percorso di riqualificazione e valorizzazione che ci siamo ispirati.

Quali altri problemi hanno creato difficoltà alla scuola?
Ai disagi legati ad un’utenza a volte problematica con difficoltà di relazione e attenzione, alla drastica riduzione delle ore di laboratorio con la conseguente perdita di identità dell’istituto, al fenomeno delle ‘classi pollaio’ con 31 studenti, si sono aggiunti cambiamenti di dirigenza molto frequenti negli ultimi dieci anni, un turn-over altissimo degli insegnanti e del personale in generale, e lo spostamento della sede da via Roversella a via Canapa del 2003 che ha dato un duro colpo alle iscrizioni. Per anni, nel passato, abbiamo sofferto anche la mancanza di un fronte compatto che lavorasse sulla riorganizzazione della scuola, e ciò ha favorito il sorgere di preconcetti riguardo all’istituto che, in qualche caso, viene letteralmente stigmatizzato, al punto che alcune scuole medie, che non hanno compreso l’importanza del cambiamento in atto all’Ipsia, non ci aprono nemmeno più le porte per presentare la nostra offerta formativa agli alunni delle classi III nelle giornate dedicate all’orientamento.
Nell’immaginario collettivo il professionale corrisponde ad un luogo dove si fa poco o nulla e dove i ragazzi non hanno regole. In realtà non è affatto così: gli episodi gravi come l’ultimo fatto di cronaca del 29 gennaio (studente dell’Ipsia denunciato perché portava a scuola nello zaino un coltello di 33 centimetri) sono rarissimi, ma purtroppo solo quelli vengono amplificati, mentre emergono solo raramente i numerosi aspetti positivi dell’Istituto, ossia il fatto che ci sono insegnanti qualificati e motivati, con una grande capacità di ascoltare ed aiutare tutti i ragazzi, anche e soprattutto quelli in difficoltà, che i voti non sono regalati, che note e provvedimenti disciplinari vengono dati, se necessario, ma che si è sempre pronti a riconoscere e premiare gli studenti che si danno da fare, e che sono la maggioranza. Noi stiamo lavorando per mostrare questa, che è la vera immagine dell’istituto.

Quanti presidi avete cambiato negli ultimi anni?
Negli ultimi dieci anni si sono alternati sei presidi. Cambiamenti di dirigenza così frequenti ovviamente hanno destabilizzato la scuola e ostacolato interventi e attività anti-bullismo e antidispersione che ogni anno cercavamo di realizzare. Fortunatamente, da quando dirige l’Istituto il professor Giovannetti si è potuta realizzare una maggiore continuità di gestione e di conseguenza si riescono a mettere in atto le numerose strategie che ne stanno cambiando il volto.

Guglielmetti e Santoro chiamano una delle collaboratrici scolastiche storiche dell’istituto, Sandra Benassi, alla quale chiediamo di raccontarci com’era l’istituto negli anni d’oro.
Io lavoro all’Ipsia da 30 anni. Allora l’istituto era in centro, in via Roversella, una locazione molto più prestigiosa. C’era il bar all’interno e, all’esterno, un chiosco di cartoleria con prodotti dedicati alla nostra scuola. Avevamo circa 1500 studenti (a fronte degli attuali 300), molti dei quali sono diventati personalità importanti nell’ambito aziendale del territorio, e non solo. La scuola di via Roversella era un ex-convento, grandissimo, con cortili stupendi che si riempivano di ragazzi durante l’intervallo.

In cosa consiste il progetto con il quale avete cercato di invertire la rotta e come stanno andando le cose?

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I ragazzi durante il laboratorio teatrale
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Ragazzi di una classe prima e tre tutor del triennio

Il fulcro sono tre laboratori creativi che coinvolgono le classi prime, il laboratorio teatrale con metodo Cosquillas; il laboratorio di musica rap/hip hop; il laboratorio di video tenuto dagli operatori dell’Area giovani del Comune di Ferrara che realizza video-interviste e backstage delle attività delle altre classi. Stanno avendo tutti un grande successo. A questi laboratori partecipano anche gli studenti tutor del triennio che fungono da supporto e che si sono distinti per le loro notevoli qualità relazionali.

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La docente Anna Guglielmetti

Le attività che stiamo realizzando stanno andando benissimo. I ragazzi si stanno integrando, stanno meglio a scuola e i miglioramenti si stanno vedendo anche sul piano del comportamento. Gli studenti hanno accolto molto favorevolmente il progetto, al quale partecipano attivamente facendosi promotori di idee e proposte e rendendosi protagonisti di attività che si sono rivelate essenziali per l’obiettivo dello “star bene a scuola”. Ciò avviene anche grazie all’impegno di un gruppo studentesco che si occupa della cura degli ambienti e delle relazioni.

Oltre al progetto sperimentale, su cosa state lavorando per risollevare il nome e le sorti della scuola?

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La referente del progetto Monica Santoro e tre tutor, Federico Paone, Michela Canella e Cristina D’Agostino

Per aumentare il coinvolgimento e l’autostima dei ragazzi, per farli sentire importanti e incoraggiarli anche dal punto di vista dell’apprendimento, agiamo su più fronti: stimoliamo i ragazzi a sviluppare il senso di appartenenza alla propria scuola e puntiamo sul progetto accoglienza che si basa sul concetto di “educazione alla pari” e che consiste in attività di tutoraggio per le classi prime da parte di alcuni ragazzi del triennio. I ragazzi tutor vengono preparati dagli insegnanti in modo che siano autonomi nel gestire gli interventi i primi giorni di scuola nelle classi. Questi ragazzi sono davvero bravissimi, abbiamo verificato che quando viene data loro una responsabilità, la assumono e la sanno gestire molto bene. I tutor sono una risorsa importante per la scuola, perché rappresentano un canale di comunicazione diretto e uno strumento di mediazione con gli insegnanti.
Un’altra strategia che abbiamo messo in campo è il servizio di supporto a studenti, docenti e famiglie con la consulenza dell’educatore di Promeco, Alberto Urro. Inoltre, meritano certamente menzione alcune tra le iniziative più apprezzate, dai corsi di social network alle sfilate di moda, dal progetto promosso dalla Coop Ri-investimento-riuso creativo con scarti tessili, realizzato dal settore Moda, alle giornate di formazione e orientamento in collaborazione con la Cna, e poi attività di stage e cooperazioni con aziende dei settori meccanico, impiantistico elettrico, tessile-sartoriale.
Tutti insieme (insegnanti, studenti, tecnici, personale) siamo coinvolti ogni giorno per creare un clima positivo e propositivo, per riconfermare il ruolo della nostra scuola come luogo che prepara i ragazzi a diventare cittadini consapevoli, preparati e pronti ad entrate nel mondo del lavoro.

1. CONTINUA

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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