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Il tempo delle vacanze concilia il pensiero. Porta a riflessioni che spesso si rimandano, a momenti di pausa che (ri)conciliano spazio e tempo, a correzioni di rotta che si esitavano a intraprendere. Se poi ci si ritrova soli a confronto con lo spazio sterminato e quasi infinito di una verde e avvolgente campagna abbracciata da alti ed eleganti cipressi, in compagnia di un libro che porta lontano, le immagini del nuovo scorrono da sole. Senza più freni. La sensazione di libertà è ancora più netta se fra le mani si hanno i fogli di ‘FuoriRotta: Diari di Viaggio’ di Andrea Segre, dieci anni di curioso e intenso pellegrinaggio da Valona a Dakar, da Pristina ad Accra, da Sarajevo a Ouagadougou, da Tataouine a Baghdad. L’avevo letto, l’ho riletto perché volevo viaggiare ancora, ripercorrere alcuni luoghi.

Segre, giovane regista veneto (nato a Dolo il 6 settembre 1976), viaggia per conoscere le storie dei migranti di cui spesso racconta nei suoi film (basti pensare al bellissimo ‘Io sono Li’ del 2011) ma anche, e soprattutto, per riflettere intensamente sul mondo di cui narra, in uno spazio spesso appena fuori dei suoi (nostri) confini, così geograficamente vicino, ma a volte così terribilmente e incredibilmente lontano. Nel libro, come nell’omonimo progetto lanciato qualche tempo fa per gli under 30 dal regista insieme al fotografo Simone Falso e al cineoperatore Matteo Calore (vedi qui e anche qui) si affronta il tema del diritto al viaggio, cruciale per comprendere come sta andando il mondo. Ce ne è bisogno ora, affannati da tante notizie e situazioni che fatichiamo a comprendere. Viviamo una realtà sempre più polarizzata tra globalizzazione di consumi e comunicazione e difficoltà di interazione tra le persone. Se per i più poveri è difficile viaggiare, per le evidenti difficoltà economiche, per chi invece possibilità ne ha difficile diventa viaggiare per conoscere le persone. I luoghi sono omologati, tutti uguali, asettici, monocolore, stereotipati stile grandi marche che ci rendono tutti simili. Gli aeroporti sono copie l’uno dell’altro, le cose che si vedono anche, si cercano luoghi sicuri che danno certezze proprio nel loro essere identici. Così diventa davvero difficile conoscere la realtà, gli altri per come sono e sentono. Immergersi nell’altro e nell’altrove.
Ecco allora l’importanza del viaggio come esperienza di conoscenza dell’Altro, come veicolo di dialogo, di comprensione, di contaminazione di punti di vista. Non un viaggio esotico alla Chatwin, ma al contrario, un passaggio per quei luoghi anche vicini, magari dietro casa, dove ci sono contraddizioni ed elementi importanti per capire quanto non si è capito, quanto non si è voluto, potuto o cercato di comprendere. Soprattutto in questo momento storico dove tanti viaggiatori ‘non autorizzati’ passano per le nostre terre accaldate e noi possiamo cercare di capire qualcosa in più̀, incontrandoli.

Chi parte Fuori Rotta deve saper fare un viaggio nel momento in cui ha capito cosa va a cercare, pur non sapendo affatto che cosa troverà̀ davvero. Bisogna avere chiare le domande di partenza, sempre, i motivi per cui si va in un luogo, quindi bisogna aver studiato, sapere dove andare a porre le domande. Andare Fuori Rotta non è perdersi, è andare fuori dalla normalità̀ della rotta quotidiana che fornisce il proprio punto di vista ordinario. Questo è il diritto al viaggio. Quello stesso che può essere anche un diritto a vivere una vita migliore. Qualcosa che andrebbe globalizzato, nel rispetto reciproco. Nulla di più attuale.

 Andrea Segre, FuoriRotta: Diari di viaggio, Marsilio, 2015, 216 p.

Immagine di copertina per gentile concessione di Andrea Segre.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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