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di Roberta Trucco

Questo è un mio breve racconto pubblicato sul libro di Teresa Forcades, che ho curato insieme a Cristina Guarnieri, intitolato ‘Siamo tutti Diversi’ ed edito da Castelvecchi. Come ho scritto nella introduzione del libro: “’Il mio nome è Farkhunda’ è dedicata alla giovane musulmana Farkhunda Malikzada, linciata a morte a Kabul per aver predicato per ore nel cortile del santuario denunciando i traffici di finti amuleti. Farkhunda studiava diritto islamico e lavorava come maestra volontaria. È un racconto simbolico, inserito qui per onorare donne coraggiose che sembrano aprire il cammino a nuovi immaginari e anche per ribadire che quelle distanze che troppo spesso sono raccontate come insormontabili, a un attento esame dimostrano la vicinanza che accomuna tutti noi, al di là delle culture e delle tradizioni, e ribadiscono l’importanza della sorellanza e fratellanza tra gli esseri umani. Per noi Teresa testimonia tutto questo. Lei apre a una pacifica rivoluzione del pensiero alla quale vorremmo vedere affiancarsi sempre più persone.”

Credo dica bene perché oggi le donne possono rappresentare la speranza del futuro. Il femminismo oggi rappresenta una delle vie più autentiche per interpretare la complessità nel quale siamo immersi, un femminismo incarnato, che testimonia la nostra differenza. Oggi dire ‘sono una donna’ è rivoluzionario.

Il mio nome è Farkhunda

C’era una bambina che aveva gli occhi colore della notte fonda e il sorriso largo come la luce del sole. Il suo nome era Farkhunda e il suo destino quello di volare.
Era nata in una famiglia numerosa. Aveva solo fratelli maschi, per la precisione tre, lei era la più piccola.
Farkhunda era cresciuta inseguendo i fratelli. Al mattino, quando faceva colazione mandava giù la tazza di latte in quel modo frettoloso e disattento come fanno solitamente i maschi, lasciando lì la tazza, tanto qualcuno la ritira e la lava. Correva dietro a loro per raggiungere la scuola, correva dietro a loro per tornare da scuola. Correva sempre Farkhunda, correva dietro ai suoi fratelli, correva quando la mandavano a fare la spesa, correva alla sera quando sgattaiolava dalla porta di casa incontro al tramonto. Correva ed era davvero veloce. Man mano che cresceva le sue gambe sottili e lunghe la rendevano sempre più agile, una vera corridora.
Farkhunda era così veloce che batteva i suoi compagni maschi con grande facilità, batteva anche i suoi fratelli e loro fino a quando era stata poco più che una bambina ne gioivano e ci scherzavano… addirittura la usavano per organizzare corse a scommessa, come per i cavalli.
Farkhunda si divertiva e si sentiva importante, era il cavallo sul quale puntare!
Correre era il suo sogno.

Poi un giorno a Farkhunda capitò una cosa strana proprio mentre correva.
Sentì giù per le gambe un fluido caldo e denso, era rosso e si ricordò delle parole della madre: “Attenta Farkhunda arriverà il giorno in cui il tuo posto non sarà più fuori a correre, dovrai fermarti e stare in casa e quel giorno non è lontano. Guarda come già sta cambiando il tuo corpo e assomigli sempre più a me!”
Ma Farkhunda, che amava sua madre, non voleva assomigliarle; a forza di stare in casa, chiusa tra le mura di poche stanze, la madre, un tempo molto bella, era sfiorita, i suoi fianchi si erano appesantiti e il suo sguardo sembrava sempre rivolto alla porta come a cercare qualcosa che era fuori.
Farkhunda voleva bene a sua madre, sapeva che poteva correre perché sua madre le lavava sempre la tazza al mattino e perché faceva molto altro ma non voleva fermarsi. Sapeva anche che era tardi ormai per cambiare la sorte della madre, per portar via quel velo di nostalgia che le si leggeva negli occhi. E sapeva, in fondo al cuore, che poteva pensare a sé stessa e che quel giorno del fluido caldo era il giorno in cui avrebbe dovuto spiccare il volo. Così continuò a correre quel giorno e poi il giorno dopo e così per altri giorni.

Passarono gli anni, alcuni anni, e molti pensieri crebbero dentro di lei mentre correva.
Una notte ripercorse le stanze della casa, spiò il sonno dei fratelli, cresciuti in fretta, che giocavano sempre meno con lei, si avvicinò al letto della madre e del padre, sfiorò con le labbra le loro guance. Poi, al chiaror della luna, aprì la porta di casa e incominciò a correre, rapida come il vento, verso il suo mondo.
Mentre correva il sole sorgeva e la terra luccicava come una promessa.
Man mano che attraversava il deserto, le montagne si stagliavano all’orizzonte nei loro confini azzurrognoli.
Attraversava i villaggi correndo e presto si sparse la voce di quella strana corridora dalla gambe di gazzella.
Le vecchie l’attendavano all’ingresso dei villaggi con acqua fresca e cibo e piano piano le si affiancarono altre ragazze che si mettevano a correre dietro di lei.
Ora, all’ingresso dei villaggi non c’erano più solo le vecchie con cibo e acqua ma anche le madri e i figli maschi.
Tutti porgevano loro qualcosa.
Anche i bambini, maschi e femmine, correvano per un po’ al loro fianco e provavano l’ebbrezza della libertà.
All’ingresso dei villaggi accorsero anche gli uomini anziani e le osservavano. Videro nei loro occhi la speranza del futuro, videro il nuovo che avanzava, la promessa del domani. Smisero di trattenere i loro figli e con dolcezza li spinsero al loro fianco.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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