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Le visite frequenti all’ospedale di Cona mi spingono ad alcune riflessioni che credo possano essere condivise dagli utenti del maestoso edificio. Più le visite si moltiplicano, più le probabilità di orientamento diminuiscono. Quasi un inconscio rifiuto di quel luogo tutto eguale eppure così diverso, come diverse sono le patologie che lì vengono curate. E nell’immensità dei corridoi, quasi sempre deserti, risuonano i passi perduti di chi, incapace di comprendere sigle e numeri, si sente come lo scienziato prima della decifrazione della stele di Rosetta. E come in ogni labirinto che si rispetti, ecco apparire qualche Arianna (medico o infermire, maschio o femmina) pronta a porgerci il capo del filo con una rassegnazione nel viso che esprime l’innumerevole quantità di volte che ha sentito ripetere la stessa domanda e quanti fili ha teso. Una paziente sopportazione, mentre l’occhio corre al caffè che si raffredda o alla bibita ancora incapsulata nel contenitore. Il percorso più difficile sta nel seguire le tracce che dal pronto soccorso portano al 2, luogo dei confortanti ambulatori. Porte frangifuoco minacciose ti respingono e ti fanno ritornare sui tuoi passi, le sigle si accavallano finché un piccolo cartello scritto a mano ti indica una direzione… che presto si perde di nuovo nel turbinio degli snodi e degli svincoli. Un singhiozzo represso sta per scaturire in un urlo di sconfitta ma – miracolo! – riappare la scritta umana che ti suggerisce per via ipotetica che forse lì stai per arrivare al piano giusto. E ansimante ti precipiti dentro la silenziosa scatola di ferro che ti porterà alla salvezza. Mentre sali, confessi agli esperti che si trovano con te che vai al piano 2. Silentium, come nelle biblioteche dei monaci. Si spalanca la porta e ti trovi al piano 3. Una voce cantilenante, la solita addetta travestita in abiti civili e senza camice, ti avverte che è sempre così. La chiamata non tien conto del desiderio e puoi trovati sine culpa o in Paradiso o all’Inferno. Poche volte in Purgatorio dove sei diretto. Infine, una volontà eterodiretta ti ferma al piano giusto e, dopo un severo sguardo del guardiano/guardiana, ritrovi i tui simili in attesa. Un chiacchericcio sommesso ma umano ti accoglie, mentre sollecite infermiere ti portano il ghiaccio, poiché nella fretta di raggiungere la postazione 2, ti sei schiacciata la mano nella portiera. Poi, l’allegria dello sfarfallìo dei camici. Noto con grande piacere che i giovani medici non tengono chiuso il camice ma ne lasciano svolazzare i bordi: un segno di giovinezza e di salute, a volte riconfermato da giovani dottoresse issate su tacchi 12 e.. belle. Lavorano, e tanto questi medici, molti precari, ma danno tutto, anche troppo! E quando arriva LUI, direttore o caporeparto senza sfarfallìo ma con sorriso umano e rassicurante, abbiamo la prova che la nostra sanità pubblica nulla ha da invidiare a più celebrati sistemi. Perciò, mentre di nuovo l’ascensore ti porta al piano che dopo lunghe ricerche deve essere sempre l’1 – pena dover affrontare un nuovo labirinto – sommessamente prego i responsabili: inventate un nuovo sistema di orientamento!
Allora Cona non sarà più un labirinto ma il palazzo della salute.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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