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Da piccolo voleva fare l’ingegnere, e ci è riuscito. Prima l’Itis, poi ingegneria ed ora è responsabile delle normative elettroniche di un’importante organizzazione di industriali.
Però se lo cercate nella pausa caffè, non lo troverete a progettare circuiti, ma, sorpresa, chino sullo sketchbook che porta sempre con sé.

Perché c’è un’altra cosa che Alessio Bolognesi, classe ’78, fa molto bene fin da bambino: disegnare. All’inizio con la sua mamma che con passione lo ha accompagnato, poi da solo.

“Al lavoro scarabocchio sempre, i miei appunti sono fatti di tre righe e venti disegni. Su uno di quei fogli mi sono inventato un personaggio, io dico per caso, ma non esiste il caso: ho elaborato una cosa che avevo dentro, ed ho iniziato a disegnare un omino sfigato, spezzettato, con le cicatrici”.

E’ questa la genesi di Sfiggy, un esserino antropomorfo tutto bianco con una grande testa e due occhi neri tondi che nelle primissime tele di Bolognesi viene pugnalato alla gola, all’addome e alle braccia, ma non muore. Viene rattoppato, e da allora porta i segni di quelle evidenti cuciture che gli tengono assieme il corpo. “E’ il mio alter ego” ci racconta Alessio accogliendoci nella sua casa laboratorio, affollata di tele, libri, fumetti e giocattoli di Star Wars sparsi ovunque. “Sono un nerd, si nota?”, ammette candidamente.

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Sfiggy occhieggia un po’ ovunque dalle tele, ma non è sempre stato così.

“Nel 2008 avevo vinto un concorso d’arte a Parma e il premio era una personale in un castello. Allora dipingevo soprattutto nudi di donne stilizzati, però nell’ultima sala ho voluto inserire tre tele di Sfiggy. Sono piaciute un sacco, da allora ho iniziato a sviluppare il personaggio, che poi è fatto di quel che mi succede, dentro e fuori”.

Il mondo di Sfiggy è piuttosto dark, ma un dark che non si prende troppo sul serio. Se alle origini è più che altro lui stesso il protagonista di macabre mutilazioni su sfondi pop, poi arriva una tragicomica vendetta. In una serie che ha avuto grande successo, lo vediamo impegnato ad attentare alla vita di noti cartoons. Celebri sono i suoi vari tentativi di eliminare Hello Kitty, ma anche Pikachu, Chobin, i Looney Toons, persino la Pimpa. Non si salva nessuno. Poi c’è la serie con le sue incursioni nel mondo dell’arte contemporanea, dove è imprigionato in una tela di Mondrian o fa piangere una delle donne di Roy Lichtenstein. Dopo lo vediamo dentro a scene di famosi film, tra cui neanche a dirlo, Star Wars, ma anche i classici di Antonioni.

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Sfiggy c’è sempre, ma lo stile si evolve in continuazione. Dopo essere uscito dalla tela per diventare un pupazzo realizzato a mano dallo stesso Bolognesi, Sfiggy è rientrato nei quadri guadagnando la terza dimensione. Poi c’è la serie su carta antica, quella sui bilici immobiliari simbolo di precarietà, e quella in cui i protagonisti sono altri e Sfiggy è coprotagonista. Come dire, non si è sempre al centro della scena.

“No, non mi sono ancora stancato di disegnare Sfiggy, perché sarebbe come dire che mi sono stancato di me stesso, si trasforma con me”.

Sono passati alcuni anni, neanche tanti, dal primo Sfiggy, ed ora è un marchio registrato, campeggia in decine di quadri (Bolognesi ne realizza un centinaio all’anno), e ci osserva da numerosi murales in varie città d’Italia.

“Capisci che le cose stanno cambiando quando non sei più tu a cercare gli altri, ma gli altri che cercano te”.

Ora Bolognesi è presente in almeno sei gallerie nelle principali città, ed è impegnato in svariati progetti di cui tre solo per Expo. Uno è una collaborazione con i detenuti del carcere di Bollate, che confina con i padiglioni dell’esposizione e, il giorno dell’inaugurazione, esporrà fuori dalle finestre enormi tele con disegni realizzati assieme ad alcuni artisti. Abbiamo raccontato questo bel progetto sulle pagine del nostro Settimanale. [clicca]
Un altro progetto più locale lo vede collaborare con l’azienda ferrarese di imbottigliamento di whisky Hidden Spirits per la realizzazione di etichette d’autore, ne avevamo parlato qui. [clicca]

“Ora il mio problema è il tempo, passo il giorno in ufficio, la notte a disegnare e i week end a fare pubbliche relazioni, sto iniziando a pensare di cominciare a dedicare più tempo ad una di queste cose”.

Indovinate quale. Ma è possibile vivere oggi facendo quadri?

“Le mie tele vengono vendute fino a 1500 euro. E c’è una buona richiesta”.

Guardiamo fuori dalla finestra davanti alla scrivania piena di disegni, pennelli e colori. Là dove uno vede la prima periferia di Ferrara, con le auto che passano all’imbrunire, è bello pensare che qualcun altro veda mondi da ritrarre con passione. E che di questa passione poi ci possa vivere. Fa bene al cuore, anche a quello dilaniato di Sfiggy.

(foto di Stefania Andreotti e Alessio Bolognesi)

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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