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di Esther Kinsky*

La bella notizia della vittoria del premio “Franz Hessel Preis” mi ha raggiunta a Olevano Romano, un piccolo paesino di montagna vicino a Roma, dove mi trovo grazie a una borsa di studio-lavoro. Olevano è un luogo caratterizzato da vicoli scoscesi, scalinate tortuose, molte case vuote, tanto vento e le nuvole che rimbalzano tra gli Appennini e l’Abruzzo. A valle scorre il fiume Sacco, come Sacco e Vanzetti, che tuttavia è talmente piccolo da scomparire quasi tra i cespugli. Franz Hessel e Berlino, metropoli per eccellenza, sono lontani anni luce, ma anche qui è possibile andare a passeggio, guardare, esprimere a parole ciò che si vede, che era uno dei grandi talenti e dei maggiori insegnamenti di Franz Hessel. Anche in questo paesino, dove molte strade portano ancora il nome di artisti romantici tedeschi che amavano dipingerne i paesaggi e dove, a causa delle vie strette e scoscese e dell’età avanzata della maggior parte degli abitanti, la vita scorre molto lenta, molte cose sono lo specchio della situazione attuale del mondo europeo.
È lunedì e sto girovagando per il paese, cercando le parole giuste per il discorso di ringraziamento; è il primo giorno caldo dopo settimane di freddo. La porta del calzolaio è spalancata e lui, orgoglioso giovane proprietario della bottega addobbata con numerosi oggetti che rimandano al culto fascista, saluta con fare gentile circondato dai suoi amici disoccupati. Qui si parla sempre tanto. Più in giù, in Piazza Aldo Moro, una ressa di anziani che vogliono mettersi con la faccia al sole, come fossero lucertole. Chiacchierano con il sorriso sul volto e i colletti delle giacche consumati. Quando ero bambina e l’Italia era il primo Paese straniero che imparai a conoscere, queste persone oggi anziane e assetate di sole erano allora giovani adulti di cui ammiravo il fare sbarazzino per le strade di Roma. Questi uomini, che oggi portano ai piedi scarpe da tennis usurate, probabilmente di fabbricazione cinese, e siedono rilassati con le gambe incrociate, allora indossavano sicuramente pantaloni bianchi con la piega del ferro da stiro e scarpe a punta tirate a lucido, probabilmente gialle.
Il lunedì è il giorno del mercato a Olevano. Alcuni giovani di colore vendono calze made in China sul ciglio della strada. In un angolo c’è un sacco di plastica pieno di queste stesse identiche calze in confezioni da cinque, che oramai si possono comprare ovunque, dal Kazakistan fino al mercato di Maybachufer a Berlino. Nessuno si ferma a comprare qualcosa, mentre una donna con un tailleur succinto leva il braccio davanti a uno di loro, quasi volesse picchiarlo. Quasi di riflesso ci si chiede – qui come a Roma, Parigi o Berlino – quale odissea questi venditori ambulanti abbiano alle spalle, quale prezzo abbiano dovuto pagare per essere qui a vendere calze e dove faranno ritorno la sera, una volta finito di lavorare. Cosa si sono lasciati alle spalle. Mi chiedo cosa avrebbe letto Franz Hessel, che morì da rifugiato, sui loro volti, su quello del calzolaio, su quello della donna con il braccio levato e quello degli anziani seduti al sole. Mi chiedo quali parole avrebbe trovato per descrivere la situazione in questo paesino europeo.
Ringrazio la giuria per l’onore che provo nel vedere il mio libro insignito del premio che porta il nome del poeta, traduttore e rifugiato Franz Hessel.

Traduzione di Paola Baglione

* Esther Kinsky è traduttrice letteraria, autrice di prosa e lirica, i suoi temi principali sono la rilevabilità della percezione attraverso la lingua e i processi del ricordo nel contesto dell’estero. Vive tra Berlino e Battonya (Ungheria).

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Franz Hessel

Franz Hessel (Stettino, 21 novembre 1880 – Sanary-sur-Mer, 6 gennaio 1941). Scrittore e saggista tra i più rilevanti nella vita parigina d’inizio Novecento e fautore con Henri-Pierre Roché ed Helend Grund del ménage à trois per eccellenza, immortalato al cinema da François Truffaut con “Jules e Jim”. Franz Hessel ritorna disponibile per i lettori italiani dopo vent’anni di assenza in una nuova antologia, “L’arte di andare a passeggio” (Elliot, Roma 2011) che raccoglie una scelta dei suoi testi per la cura attenta e rigorosa di Eva Banchelli.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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