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Sudafrica mareIn periodo di crisi come quello odierno, molti sognano di rifarsi una vita e di scappare agli antipodi di un’Italia che spesso frena ogni entusiasmo. Così molti italiani se ne vanno e una delle destinazioni preferite degli ultimi anni pare essere il Sudafrica, Città del Capo in particolare. Qui si cerca libertà e natura ma soprattutto un lavoro che paghi e un successo che sia dato solo dal merito e dall’impegno. Ovviamente bisogna conoscere la lingua, avere garanzie da offrire o, in alternativa, una proposta di lavoro concreta, ma lo spazio c’è e per tutti. C’è anche chi parte lasciando un impiego sicuro o chi, con i soldi della liquidazione, sceglie comunque il cambiamento. Il Sudafrica è nei Brics, i paesi emergenti, e ha standard di vita occidentali (in alcuni casi superiori); è immerso poi da una natura selvaggia bellissima (colline, savana e Oceano), ha vigneti dolcissimi e prezzi contenuti (con i sodi necessari per un monolocale a Roma si acquista una villa, si dice), in un’estate che dura 300 giorni l’anno. Non stupisce, dunque, che molti, fuggendo dalla crisi, si dirigano qui. Nel Paese ci sono circa 32.000 italiani che d’inverno arrivano a 82.000. Lo zoccolo duro della comunità italiana, con circoli culturali e giornali, sono i minatori arrivati dal Veneto e dal Friuli, alla fine dell’800. Nella Seconda Guerra mondiale si sono aggiunti i connazionali deportati dal Nord Africa e, negli anni recenti, i lavoratori di grandi gruppi come Fiat, Pirelli, Magneti Marelli e Ferrero venuti a investire nel Paese emergente. Ripercorriamo allora alcune tappe di tale presenza.

Settecento e Ottocento in Sudafrica: l’arrivo dei primi italiani

La storia degli italiani in Sudafrica pare iniziare nel 1689, quando un gruppo di valdesi provenienti dal Piemonte sbarca a Città del Capo. A quell’epoca vengono fatti risalire nomi quali Malan, Lombard o Albertyn. Probabilmente anche le viti coltivate nella regione del Capo in quel periodo sono originarie del Nord Italia, se si pensa che le terre concesse per tali coltivazioni appartenevano a Pietro Benozzi e Jean Gardiol. Nel XIX secolo, l’arrivo dei Boeri al centro del Paese porta con sé i mercanti italiani che, al loro seguito, li riforniscono di polvere da sparo, utensili e vivande, quali tè, caffè e zucchero. Giovanni Albasini arriva in Mozambico nel 1832, con studi in legge e un’enorme voglia di avventura: giunge in Africa per aprire una stazione per lo scambio commerciale. Spintosi verso l’interno del Paese e apprese le lingue indigene degli Shangaan, Albasini è talmente amato dalle popolazioni locali che, in tre anni, diviene il capo di molte famiglie, con il nome di Juwawa. Stabilitosi a Skukuza (sede della direzione amministrativa del Parco Kruger), vi apre un magazzino e uno spaccio d’avorio e pelli. Albasini scrive lettere e funge da consulente legale per i Boeri della zona, per la maggior parte analfabeti, e presto viene proclamato Vice Console del Portogallo per facilitare gli scambi commerciali fra i due Paesi. Muore nel 1888, dopo essere stato proclamato Commissario degli Affari Indigeni per il Transvaal del Nord, con il compito di mantenere le forze dell’ordine e riscuotere le tasse. Verso la metà del XIX secolo, arriva dall’Inghilterra un altro italiano: John Charles Molteno, la cui famiglia era originaria della Brianza. E’ il primo a importare le pecore Merino in Sudafrica e a essere eletto Primo Ministro della Colonia del Capo.

Sudafrica

Nel 1878, Oreste Zaccaria Nannucci apre una lavanderia in Long Street, a Città del Capo: è il primo a portare il lavaggio a secco in Sudafrica. Con la scoperta dei diamanti a Kimberley (1867) e di giacimenti d’oro a Barbeton (1882), il Sudafrica diviene il più grande mercato di dinamite al mondo. Nella lontana città di Avigliana, vicino a Torino, Alfredo Nobel avvia la produzione in massa dei suoi esplosivi. Da questa città partono, nel 1887, Modesto Gallo e Ferdinando de Matteis. Arrivano nella provincia del Transvaal con cinque casse di dinamite con un’idea chiara in testa: aprire una fabbrica di esplosivi a Leeuwfontein, vicino a Pretoria. Nella fabbrica che diverrà la più importante del Sudafrica, la dinamite importata in blocchi dall’Europa viene tagliata dalle macchine in cartucce per essere poi incartata e imballata. Altri italiani lasciano, quindi, Avigliana. Tra questi vi sono le “cartuccere” Antonia Panicco, Teresa Carnino, Maddalena Castagno, Angela e Giuseppina Audagnotti, esperte nel pericoloso lavoro di avvolgere le cartucce di dinamite in carta cerata. Arrivate nel 1890, l’anno successivo saranno seguite da altre venticinque ragazze. La prima comunità italiana si forma, dunque, nelle vicinanze della fabbrica di Leeuwfontein ai tempi della corsa all’oro. L’appello di Nobel a operai volontari ha successo: la disoccupazione in Italia e il legame con parenti e amici già installati sul territorio sudafricano fa da richiamo a molti. Nel 1896 viene aperta, a Modderfontein, una fabbrica di acido nitrico, gestita quasi interamente da italiani e dove Giuseppe Meano è il capo-officina. Arrivano anche artigiani e professionisti oltre a un pittore, Enrico Rinaldi, che, nel 1897, dipinge il ritratto del Presidente Kruger, oggi esposto al Museo Africano di Johannesburg. Il quartiere Orange Grove di quella che oggi viene da molti chiamata Jo’burg è interamente abitato dagli operai di Modderfontein. Angiolo Zoccola fornisce alla città gran parte delle verdure fresche, introduce gli aranci ed è il proprietario del cittadino e imponente Grand National Hotel. Grande è la sua produzione di vini e liquori, enormi le sue piantagioni di eucalipti, pini e acacie. Allo scoppio della guerra anglo-boera, gli operai italiani iniziano ad abbandonare Modderfontein, tanto che alla fine del 1899 la produzione nella fabbrica cittadina si trova ormai alla fine e molti connazionali sono licenziati.

La guerra anglo-boera (1899) e l’appoggio italiano ai Boeri

ricchiardi
Camillo Ricchiardi

La guerra anglo-boera porta con sé numerosi italiani. Fra questi, l’ufficiale di cavalleria Camillo Ricchiardi, piemontese, fondatore della nota Legione Italiana, che combatte accanto ai Boeri. Molti italiani di diverse classi sociali si uniscono al Corpo, conosciuto anche come Brigata Latina, composto anche da combattenti dell’Esercito Regio e da veterani garibaldini. Ferito in battaglia, Ricchiardi viene ricoverato all’Ospedale di Pretoria ove conosce la futura moglie Myra Gurrman-Joubert, parente del presidente Kruger. Alla caduta di Johannesburg in mano inglese (1 giugno 1900), Ricchiardi non si arrende e si dà alla guerriglia. Nonostante alcuni successi, i Boeri vengono sconfitti e Kruger è costretto a ritirarsi. Gli italiani sono gli ultimi a lasciare il Sudafrica. Ricchiardi rientra in Italia per emigrare in Argentina nel 1902, ove documenta la situazione geografica, sociale ed economica del Paese. A Buenos Aires ha successo come imprenditore edile. Muore a Casablanca nel 1940. Non tutti gli italiani, però, sono sostenitori dei Boeri: il più noto, Giuseppe Garibaldi II, nipote di Giuseppe, arriva in Sudafrica per completare la carriera militare. Nato in Australia, si ritrova fra quegli italiani che gli inglesi avevano reclutato in Paesi come l’Australia, l’Argentina e gli Stati Uniti. Alla sconfitta dei Boeri, dunque, molti italiani loro sostenitori si ritrovano a dover rientrare nel loro Paese. Altri meno fortunati sono rinchiusi nei campi di concentramento in Sudafrica, nell’isola di Sant’Elena e in India e poi deportati. Il loro numero nel Paese diminuisce notevolmente.

Primi del Novecento-Anni Trenta: dall’Università alla motocicletta

Dopo la sconfitta boera, molti italiani continuano, comunque, la loro vita nel Paese. Il genere alimentare conosce il primo vero boom. Personaggi come Luigi Fatti o i fratelli Moni aprono pastifici e negozi di generi alimentari. Johannesburg si trasforma, nel frattempo, in una città grande e produttiva. Il boom economico comporta grande richiesta di costruttori, carpentieri, piastrellisti e ingegneri che giungono numerosi dall’Italia. La ditta di Liborio Cannata, che già nel 1902 importava in Sudafrica marmo di Carrara, cresce a dismisura. Raffaele Monzali ha un ruolo chiave nella costruzione di molte linee ferroviarie nel Natal e dintorni. Erige ponti tra i quali quello ferroviario sul fiume Umgeni, il ponte Athlone e il Gouritz. Il suo progetto per la costruzione della riserva d’acqua a Shongweni, completata nel 1927, serve a portare l’erogazione a Durban. Nel 1917, Natale Labia diviene il Console Generale di Johannesburg per poi venir nominato Ambasciatore a Città del Capo (oggi rimane la bellissima Casa Labia a Capetown, divenuto centro culturale, vedi).

Casa Labia, Cape Town
Casa Labia, Cape Town

Anche le donne forniscono il loro apporto alla storia del Paese. La prima donna pilota in Sudafrica – e una delle poche in tutto il mondo – è Anna Maria Bocciarelli, di Kimberley, allieva della scuola di volo, la “Paterson Aviation Syndicate” (http://www.thesolomon.co.za/jul01.html). Scuole italiane vengono aperte negli anni Venti: nel 1926 il Governo italiano promuove l’apertura della Società Nazionale Dante Alighieri, ospitata a Palazzo Fatti, nel centro di Johannesburg. L’apertura del centro culturale in tale Palazzo vuole essere un omaggio al grande Luigi Fatti che nel 1920 aveva finanziato personalmente le prime scuole italiane a Città del Capo e Johannesburg. L’Università di Città del Capo (1920) e quella del Witwatersrand a Johannesburg (1922) sono costruite con lavoro italiano: ingegneri, imprenditori e artigiani partecipano attivamente alla costruzione di questi futuri grandi centri del sapere. Nel 1934, viene iniziato il primo corso triennale di italiano all’Università del Witwatersrand nel Dipartimento di Lingue Romanze. La prima trasmissione radiofonica della “Cape and Peninsula Broadcasting Association” viene fatta da René Caprara nel 1924, un clarinettista di origine italiana. Le motociclette diventano popolari negli anni Venti e Angelo Bernardi, noto come Zio Ben, gareggia e vince con la Moto Guzzi. Nel 1932 la Fiat è rappresentata in Sudafrica da Emilio Rosingana; nel 1929, Giovanni Perosino fonda il primo club calcistico a Città del Capo, l’“Italia Football Club”. Alfred Norman Adami eccelle nel rugby, Ugo Ponticelli nella scherma, Bruno Frattini nella boxe e Mario Massacinati nelle corse motociclistiche con la Bugatti. Quando il “Coro della Cappella Sistina” visita il Sudafrica nel 1925, il baritono Amedeo Burani e il basso Ernesto Ferri decidono di rimanere e di sistemarsi nella regione del Rand,

Il tenore Giuseppe Paganelli
Il tenore Giuseppe Paganelli

mentre il tenore Giuseppe Paganelli sceglie di stabilirsi a Città del Capo. Paganelli diviene poi il direttore del Conservatorio di musica (College of Music) di Rosenbank al Capo. Numerosi musicisti italiani convergono nella regione e s’impegnano nella diffusione di molte opere della nostra splendida musica.

La Seconda Guerra Mondiale

Se, nel 1934, l’arrivo delle navi passeggeri Giulio Cesare e Duilio del Lloyd Triestino cambia radicalmente la vita della comunità italiana in Sudafrica (le navi impiegano meno di 2 settimane in rotta dai due Paesi), è la II Guerra Mondiale che porta un aumento massiccio dei coloni italiani nel Paese. L’11 giugno 1940, dopo l’entrata in guerra di Roma contro Londra, il Governo del Generale Smuts, alleato dell’Inghilterra, dichiara aperte le ostilità contro l’Italia. Per la comunità italiana in Sudafrica è l’inizio di un periodo molto difficile anche perché bersaglio di un’opinione pubblica ostile. Campi di concentramento vengono installati sul territorio per l’internamento di prigionieri nemici fra i quali vi sono italiani e tedeschi. A 40 km da Pretoria si ritrova il più grande campo di concentramento alleato della II Guerra Mondiale, “Zonderwater” (“Luogo senza acqua”): nel 1843, vi sono qui rinchiuse circa 63.000 persone. Il campo arriverà a raccoglierne 90.000. I prigionieri italiani vi lavorano assiduamente creando anche opere di scultura e pittura.

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Solo nel maggio 1945 ha inizio il graduale rimpatrio dei prigionieri che si conclude nel 1947 quando il campo di prigionia viene smantellato. Circa 800 prigionieri restano e un nuovo legame si stabilisce fra Italia e Sudafrica: negli anni Cinquanta, infatti, proprio quei prigionieri rimpatriati aprono la strada a un consistente flusso migratorio di italiani verso il Paese. Per gli italiani d’Africa, gli anni ’50 e ’60 sono anche gli anni dei club: Pretoria, Johannesburg, Niger. La gente si incontra alle feste, ai balli di beneficenza. Il Club Sociale di Pretoria organizza oggi ancora molte di queste feste, con lotterie e raccolte fondi per villaggi e progetti che necessitano di sostegno. Musica, partite di bocce, profumo di carne alla griglia, di vino e di pane appena sfornato ricordano anche qui il nostro Paese così lontano ma pure così vicino. E la storia oggi, si ripete. Pare.

Pretoria
Pretoria
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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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