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C’è chi li vuole patrimonio nazionale (art.35 dello “Sblocca Italia”), chi strumento regionale (tra cui io e Sandro Bratti), chi non li vuole proprio. Bisogna parlarne perché non passi la linea dell’ ‘incenerimento libero. Certo la centralità del problema dei rifiuti è di vari ordini, ma il più importante e delicato è lo smaltimento finale. Per questo una forte e continua attenzione è necessaria non solo per promuovere una indispensabile coscienza civica ma anche per sostenere lo sviluppo di tecnologie appropriate e a loro volta ambientalmente compatibili. Spesso il tema degli impianti viene affrontato come grave minaccia ambientale e non come anche soluzione al problema. A mio avviso gli obiettivi che si devono perseguire nel tempo sono essenzialmente quelli di aumentare la quota destinata al riciclo, di migliorare per quanto possibile la qualità dei rifiuti domestici riducendo sensibilmente le sostanze tossico nocive, ma anche di favorire la termocombustione, destinando solo il rimanente allo stoccaggio definitivo in discarica controllata. Capisco che questa affermazione sia poco popolare. E’ però difficile pensare ad un radicale cambiamento se ancora in discarica si smaltisce oltre il 70% dei rifiuti, se permangono contrasti anche ideologici che, al momento producono principalmente effetti di ritardo e contrapposizione piuttosto che di reale trasformazione del comparto ambientale. Da molti anni ormai a livello internazionale sta crescendo la consapevolezza di dover difendere la sostenibilità ambientale e quindi energie rinnovabili (impianti solari, eolici, idroelettrici, biocombustibili).

Il tema ruota attorno ad alcuni aspetti fondamentali: cambiamento climatico, ambiente e salute, natura e biodiversità, gestione delle risorse naturali e dunque uso sostenibile dei rifiuti. Per questo dobbiamo parlarne di più. Per prevenire e gestire situazioni di conflitto occorre infatti adottare nuovi percorsi e approcci decisionali, improntati all’informazione e al dialogo con i diversi interessi e punti di vista che le comunità locali e i soggetti interessati esprimono, avvalendosi di tecniche per la costruzione di decisioni condivise e consensuali.

La termovalorizzazione in Europa è operativa con circa 300 impianti, di cui buona parte in Svizzera, Danimarca e Francia; in Italia oggi solo l’ 8% è dedicato all’incenerimento.
In sostanza, è del tutto assente su scala nazionale un modello di gestione rifiuti basato sul “sistema di gestione integrata”. Tale modello pone al centro il concetto del recupero e della valorizzazione conseguente delle frazioni merceologiche presenti negli Rsu sia sotto forma di materia che di energia, relegando il ricorso alla discarica solo per quei rifiuti che residuano dal trattamento e che non sono suscettibili di ulteriori valorizzazioni. Va quindi aperta una fase nuova nell’affrontare i problemi. Il dibattito, peraltro accentratosi sui rifiuti di origine urbana, si è concretizzato inizialmente nella contrapposizione tra fautori e avversari della combustione, cui è seguita quella tra sostenitori della linea “tal quale” e sostenitori della linea che privilegia invece la produzione di combustibili derivati, identificabili con la “frazione secca” ed il Cdr precedentemente menzionati.
Tutto bene dunque? Assolutamente no. Bisogna parlarne di più.
Occorrerà evitare di imporre o privilegiare schemi rigidi di gestione o particolari soluzioni tecnologiche, lasciando che sia il mercato, all’interno di un contesto caratterizzato da vincoli più flessibili ma continuamente monitorati, ad adattarsi alle esigenze mutevoli della domanda ed alla volatilità dei prezzi di materie prime ed energia. La strada maestra è l’individuazione di impianti di termoutilizzazione con recupero di energia, a servizio di significativi bacini di produzione, inseriti organicamente in un sistema di gestione dove si realizzino le raccolte differenziate e le discariche diventino così elemento residuale. Il nostro ritardo, che causa problemi non solo al territorio, ma allo stesso sistema produttivo, va superato innovando non solo le procedure e le tecnologie, ma anche sperimentando un approccio basato sulla pianificazione territoriale, su un ruolo forte della programmazione, su una corretta informazione dei cittadini ed un loro crescente coinvolgimento, su una forte politica di alleanza imprenditoriale pubblica e privata, oltre ad un importante fase di esecuzione e affidabilità della gestione.
Non dimentichiamoci allora degli inceneritori, anzi teniamone alta l’attenzione.
La corretta comunicazione pubblica ambientale diventa in proposito un principio fondamentale.

La nascita di molti comitati di cittadini e di rifiuto della tecnologia rende necessaria una profonda riflessione, a partire dalla consapevolezza delle opposizioni e delle loro motivazioni.
Movimenti ambientalisti, comitati volontari e cittadini impegnati esprimono crescenti perplessità, osservazioni di merito e criticità espresse che non si devono né sottovalutare né tantomeno contrastare; tra queste ecco alcune problematiche poste:

  • L’unica via razionale, per la soluzione del problema rifiuti deve passare attraverso una rapida riprogettazione dei cicli produttivi , politica del riciclaggio, riutilizzo spinto.
  • La presenza di un inceneritore disincentiva la raccolta differenziata.
  • La termovalorizzazione è il più costoso sistema per lo smaltimento dei rifiuti
  • La scarsa credibilità che i nuovi impianti emettano inquinanti in “quantità trascurabile”
  • I termovalorizzatori non portano alcun beneficio alle popolazioni
  • Nessun inceneritore può garantire efficienza continuativa,
  • La scelta dell’incenerimento trasferisce le responsabilità ambientali e gestionali alle popolazioni che vivono attorno agli impianti stessi.
  • L’inceneritore non tiene conto dei bilanci energetici basati sull’analisi dell’intero ciclo vitale dei prodotti.
  • La vendita di elettricità sarebbe dovuta andare alle fonti di energia rinnovabile (solare, eolico, biomasse)
  • I limiti sulle emissioni di diossine non sono sinonimo di sicurezza, ma solo di minor rischio sanitario;
  • I termovalorizzatori, funzionano da ”disperditori” di inquinanti, sostanze che spesso ritroviamo a parecchia distanza .
  • Un impianto di incenerimento emette giornalmente alcuni milioni di metri cubi di fumi, alcune decine di chilogrammi di polveri fini e almeno un chilo di metalli pesanti.
  • Contamina pesantemente le catene alimentari con effetti sugli apparati endocrini dell’uomo e degli animali.
  • Molti dei composti chimici emessi durante le fasi di combustione dei rifiuti devono ancora essere identificate.
  • Mancano laboratori in grado di determinare le concentrazioni di pericolosi inquinanti come i PCBs
  • Molti dei composti chimici che si formano per combustione incompleta (organoalogeni) sono altamente tossici, teratogeni, mutageni e cancerogeni.
  • I gas di combustione che si formano contengono sostanze chimiche molto pericolose quali i furani (Pcdfs) e le diossine (Pcdds),
  • Non esistono sistemi di misurazione completa e continua degli inquinanti;
  • Circa il 30% del peso iniziale del rifiuto si ritrova alla fine del ciclo di combustione sotto forma di ceneri altamente contaminate.

Lo scopo di questo articolo non è certo di affrontare nel merito questi temi, ma di indicare l’importanza delle motivazioni e delle corrispondenti controdeduzioni finalizzate alla corretta trasparenza del confronto ispirata da valori di sostenibilità ambientale e rispetto delle opposizioni. A ognuno di questi punti servono risposte chiare e oneste.
Si cita solo a riferimento come in specifico a Ferrara sia stata costituita una specifica struttura (Rab) avente questo scopo e come a livello regionale siano operative strutture di controllo che periodicamente danno indicazioni sui monitoraggi e sui controlli effettuati.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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