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Centotrentaquattro milioni di bambini nasceranno quest’anno. Un bambino nato oggi frequenterà la scuola media superiore intorno al 2030, in un mondo prevedibilmente molto differente da quello di oggi.
Quali sono gli strumenti che il sistema dell’istruzione dovrà fornire a questi futuri studenti? Cominciando a lavorare da subito, perché i cambiamenti, soprattutto nell’ambito dell’istruzione, vanno progettati per tempo.
Il tema è stato affrontato l’autunno scorso in Canada, a Waterloo, nell’Ontario, in occasione dell’Equinox Summit: Learning 2030, organizzato dal WGSI (Waterloo Global Science Initiative) che ha riunito i maggiori leader in materia di istruzione, i migliori professionisti dell’insegnamento, ricercatori e politici, insieme ai giovani studenti di quelle scuole che nel mondo hanno innovato i processi di apprendimento.
Un raduno senza precedenti a cui hanno partecipato 33 rappresentanti di tutti i continenti, espressioni di diverse realtà socioeconomiche, per comporre una prospettiva sull’apprendimento veramente globale e intergenerazionale. Per disegnare una road map dei cambiamenti percorribili, convinti che ogni bambino, non importa dove viva nel mondo, possa sviluppare le competenze necessarie alla propria cittadinanza nel 2030.
Sono gli strumenti del pensare creativo, indipendente, critico, rigoroso, dell’agire in modo collaborativo, nella piena consapevolezza di sé e del contesto sociale ciò che dovranno saper fornire di norma i sistemi scolastici del mondo.
Come è possibile ottenere questo risultato? Al centro c’è sempre la relazione tra studente e insegnante, ma anche gli insegnanti più capaci e impegnati difficilmente potranno riuscire a preparare gli studenti per il 21° secolo lavorando in un sistema scolastico il cui modello educativo è ancora quello pensato per il 19°. La natura antiquata di questo modello ha già causato molti problemi, a partire dal nostro Paese che occupa l’ultimo posto in Europa per dispersione scolastica e anche coloro che portano a termine il percorso di studi lo fanno con concrescente noia e demotivazione.
Le conclusioni del summit sono che per raggiungere nel 2030 quegli obiettivi è necessaria una struttura di apprendimento radicalmente diversa da quella tradizionalmente fondata sulle classi, i corsi, gli orari, i voti e gli esami. Si tratta di una strumentazione che deve cedere il passo alla centralità dello studente, al piacere di studiare, alle sue motivazioni, al percorso di apprendimento scelto, a una struttura flessibile, creativa, più corrispondente alle modalità di apprendimento dei giovani oggi.
Tutto ciò suggerisce di diversificare i percorsi di apprendimento rispetto alle motivazioni e agli obiettivi. Alle classi si sostituiscono gruppi fluidi, mobili, di differente composizione, gruppi per obiettivo, gruppi che sono dettati dalle esigenze dello studente in quel particolare momento. Spesso questi gruppi possono combinare studenti di età differenti, di differenti livelli di apprendimento e di differenti interessi. Questi gruppi possono chiedere consigli e sostegno a insegnanti diversi, ad altri consulenti come facilitatori ed esperti disciplinari.
Gli insegnanti, con altri professionisti dell’istruzione, operano come guide e curatori dei curricoli personali. Sono i partner dell’apprendimento che indirizzano gli studenti a scegliere gli argomenti per uno studio più approfondito a seconda degli obiettivi che si sono dati, a selezionare e valutare le informazioni, a contattare esperti esterni alla scuola, ad agevolare le discussioni.
La conoscenza approfondita e la passione per la propria area tematica sono centrali per il ruolo dell’insegnante, unitamente alla cura della propria formazione permanente.
Nel sistema progettato da Learning 2030 i docenti svolgono un secondo compito fondamentale per il successo e l’apprendimento di ogni singolo studente, quello di chi si prende cura, di un caring, di un mentore che è interessato alla riuscita dell’altro. Ogni studente si incontra regolarmente con un insegnante/mentore per discutere gli obiettivi e il percorso di apprendimento, per aiutarlo nel raggiungimento e per monitorarne i progressi.
Non più voti, non più esami. I risultati dell’apprendimento vengono misurati attraverso una valutazione qualitativa delle competenze che documentano l’intera esperienza dello studente, piuttosto che misurare singole e isolate performance.
Queste valutazioni sono condotte in modo collaborativo tra alunno, insegnanti, compagni, genitori e talvolta mentori esterni alla scuola. Si tratta di valutazioni personalizzate che fanno parte del regolare processo di apprendimento degli studenti, dove una particolare attenzione viene riservata alla capacità dello studente di portare a completamento anche progetti complessi. Come risultato gli studenti sanno in ogni momento quali sono i loro punti di forza, dove hanno spazio per migliorare, e come stanno affrontando i loro progressi.
Altro punto di forza scaturito dall’Equinox summit è l’importanza dell’autonomia delle scuole come chiave di volta dell’ambiente di apprendimento del 2030, dove le decisioni sono prese dai soggetti interessati, dai gruppi formati da studenti, insegnanti, amministratori e genitori.
Scuole che investono sui loro studenti e sui loro insegnanti, incoraggiandoli a sperimentare con nuove idee, senza temere di fallire. Ciò include l’uso creativo di qualunque tecnologia disponibile. Le tecnologie per la didattica sono esplorate in un cultura che abbraccia la sperimentazione e consente di essere utilizzata come un’opportunità di continuo miglioramento. Ciò si traduce in un sistema di apprendimento dinamico, in evoluzione, in grado di adattarsi alle differenti condizioni sociali e ai continui cambiamenti tecnologici.
Questa è la scommessa su cui l’Equinox Summit invita i paesi del mondo a investire da subito per quanti saranno adolescenti nel 2030, a partire dalla esperienza di quelle scuole che già vanno praticando tutto ciò. Che dire del nostro Paese? La distanza per ora ci sembra abissale.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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