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Esistono i biglietti? So per certo che ancora resistono nella nicchia delle sale cinematografiche. I “ticket”, dall’inglese, sono quelli che paghiamo al nostro sistema sanitario nazionale.
Ma sugli autobus? Notate: auto-bus. Non come i bus americani che sono solo bus. Come se il “bus”, che collega le persone ai luoghi, (in informatica indica la comunicazione tra periferiche e componenti del sistema), non fosse di per sé “auto”.
Confesso di non essere un assiduo utilizzatore dei nostri autobus, per cui è solo per mia mancanza lo stupore che mi ha colto quando mi sono messo ad osservare, un po’ come fanno i bambini attratti dalla bellezza delle macchine, un autobus in sosta alla sua fermata e ho scoperto che per prenderlo, come comunemente si dice, occorre, c’è scritto a grandi lettere, “munirsi del titolo di viaggio”.
A parte l’inutile spreco di parole altisonanti dal sapore acidamente burocratico, “biglietto”, “munirsi del biglietto”, non era più semplice, più facile, più di diretta comunicazione?
Io so di avere delle deformazioni professionali, del resto ce le abbiamo un po’ tutti. O no?
Comunque mi sono corsi nella mente i dati che l’Ocse e l’Europa danno sul nostro paese, il 70% della nostra popolazione adulta fatica a decodificare un messaggio, figuriamoci: “Titolo di viaggio”!
Cos’è il titolo di viaggio?
In soldoni, un titolo si attribuisce alle persone, dottore, ingegnere, signora, signore, ai libri, alle opere d’arte, ai film, alla borsa, le quotazioni dei titoli.
E poi, se proprio proprio devo “munire” di un titolo il mio viaggio, sia pure breve per la città, sarà la sua destinazione. Che so: Stazione, Largo castello, Ospedale, Prospettiva, Ponte… O cosa mi propongo di fare una volta giunto a destinazione.
È questo che devo comunicare prima di salire sull’autobus? Non certo all’autista o al bigliettaio, tanto meno alla macchinetta obliteratrice, perché a quel punto sarei già salito. Insomma a chi devo andare a comunicare il titolo che ho scelto per il mio viaggio?
Non voglio pensare che quel “munirsi” con i tempi che corrono stia a significare che prima di affrontare il mio viaggio mi devo procurare “le munizioni”. E poi non è che a seconda del titolo che scelgo o delle munizioni che decido di portarmi appresso mi fanno pagare di più?
Penso agli stranieri, che ormai sono tanti. Per fortuna che c’è google traduttore. Allora digito dall’italiano all’inglese “munirsi del titolo di viaggio” e mi dà per risposta un sano, sintetico “obtain the ticket” quasi, quasi, in tempi di anglicismi correnti, di più facile comprensione dell’espressione italiana.
Se scrivo “munirsi del biglietto”: “bring your ticket”, con un tocco di personalizzazione per quel “your”.
Lo spagnolo non è da meno: “traiga su boleto”.
Ho giocato. Ma lo sconcerto mi resta. Perché “il titolo di viaggio” ha nulla a che fare sul piano direi quasi “dell’affettività sociale”, della buona relazione con il “customer”, il cliente, l’utente. È un perentorio ammonimento che se non paghi “l’imposta” non puoi usufruire del servizio di trasporto pubblico, come se di imposte non ne pagassimo abbastanza. Allora perché nascondere dietro “il titolo di viaggio” che devi pagare la tassa se vuoi prendere il tram?
Per fortuna l’abitudine e la buona educazione civica soccorrono senza la necessità di ulteriori ammonimenti, per i portoghesi si sa che è dal XVIII secolo che entrano senza invito, google comunque traduce anche per loro: «trazer o seu bilhete».

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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