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Quello che si muove nelle politiche scolastiche di casa nostra pare sempre più non essere tutta farina del nostro sacco. Il triangolo di ferro, usato come metafora per la prima volta dagli analisti politici americani, si è allargato a macchia d’olio nel mondo, fino al mercato dell’istruzione globale.

I triangoli sono i più forti, i più solidi, i più resistenti tra le forme geometriche di base. I cerchi scivolano via, i rettangoli vacillano e i parallelogrammi crollano alla minima provocazione. Ma i triangoli tengono inesorabili ad ogni cambiamento. Ecco perché lo sgabello a tre gambe è robusto, il triciclo stabile e l’antica piramide un trionfo dell’architettura. Se poi il triangolo è di ferro è ancora più duro, più forte e potente. Non a caso per gli analisti politici è la metafora del potere.
Il triangolo di ferro racchiude uno spazio che è praticamente impossibile da penetrare per la gente comune, in modo che le decisioni politiche a favore dei gruppi che contano non siano influenzate dalla pressione esterna del pubblico che ne potrebbe mettere a repentaglio l’efficace conseguimento.
Curiosamente, la metafora del triangolo di ferro è raramente applicata alla politica scolastica, all’istruzione, alla conoscenza. Ma sarebbe davvero da miopi non avvedersi dei segnali che ormai in diversa misura vanno disegnando i sistemi scolastici del mondo globalizzato, sempre più ingabbiati in un triangolo di ferro dalle dimensioni mondiali.
«Grazie del vostro interesse per il principale marchio dell’industria dell’istruzione!»
Così si presenta nel proprio sito web l’Educate, Inc. La compagnia che incorpora politici, universitari e finanzieri privati, di vario genere e provenienza, nel nuovo mondo dell’industria dell’istruzione, della conoscenza, dell’editoria e dell’informazione.
Quali sono le conseguenze dell’enorme crescita di queste compagnie multinazionali?
Solo alcuni anni fa poteva essere ancora difficile misurarne i reali effetti, limitandoci a intuire i prevedibili esiti. Oggi sono sotto gli occhi di tutti, sono quelli di un triangolo di ferro che nell’era della globalizzazione erode spazi ai governi dei singoli paesi, all’autonomia delle scuole, ai diritti degli studenti e delle loro famiglie.
Tutta l’industria della conoscenza globale manifesta chiaramente un unico e inequivocabile indirizzo, quello di uniformare il più possibile l’istruzione e la cultura, in funzione dei profitti da ricavare sul mercato scolastico, dall’uso e dalla produzione internazionale di test, di banche dati, dalla pubblicazione dei libri di testo per il mercato mondiale.
Assistiamo alla crescita di un commercio sempre più controllato dalle corporazioni del profitto scolastico. In definitiva il mercato globale della scuola, dell’editoria, dell’informazione e gli interessi delle compagnie che lo gestiscono finiscono per incidere prepotentemente sulle scelte e sulle politiche dei singoli Stati, che rischiano di restare stritolati tra i lati del triangolo di ferro.
La Pearson, multinazionale angloamericana dei media, leader mondiale dell’editoria e delle banche dati per l’istruzione, ha sede in Inghilterra. Con lo slogan ”Imparare sempre” e con oltre ventinovemila dipendenti è presente in sessanta paesi, tra cui l’Italia. Del gruppo Pearson fanno parte il Financial Times e giganti dell’editoria mondiale come Penguin, Dorling Kindersley, Scott Foresman, Prentice Hall, Addison Wesley e Longman, ampiamente conosciuti anche da noi, almeno attraverso i loro siti internet.
La Pearson fornisce test e software per l’apprendimento agli studenti di tutte le età e di tutto il mondo, esercita, inoltre, un ruolo rilevante nel mondo dell’Ocse-Pisa.
Oggi, secondo la descrizione fornita dalla stessa azienda, i suoi test servono l’industria delle tecnologie dell’informazione e della certificazione professionale, la concessione delle licenze e i controlli di mercato. Dai centri operativi degli Stati Uniti, del Regno Unito, India, Giappone e Cina, l’azienda offre una varietà di servizi per il mercato della valutazione elettronica.
Si va dai test on line per l’ammissione a college e università, ai test per la patente, fino all’occupazione, alle risorse umane e sicurezza, ai servizi finanziari, alla medicina e sanità. Ancora le assicurazioni, i servizi legali, immobiliari, perizie, controlli e monitoraggi.
La Pearson edita The Learning Curve, il rapporto annuale sull’andamento dell’apprendimento nel mondo dall’infanzia all’età adulta, redatto dall’Economist Intelligence Unit. Un’indagine comparativa condotta fra i sistemi scolastici di oltre 50 paesi.
Il valore di mercato che l’istruzione può fornire attraverso l’apprendimento delle competenze è enorme. L’ Ocse stima che la metà della crescita economica dei paesi sviluppati negli ultimi dieci anni discende dall’ aumento delle competenze. Individuare il modo migliore per fornire le abilità di base agli studenti è, quindi, per il mercato mondiale una questione di rilevante importanza.
The Learning Curve 2014, pubblicato lo scorso otto maggio, fa il punto su cosa devono apprendere i paesi per inculcare nei loro studenti le competenze rilevanti per l’economia, come mantenerle e accrescerle negli adulti.
Per il mercato sono vincenti i sistemi educativi che mandano a scuola i bambini presto e dove è alta la pressione delle famiglie e della comunità sociale sulla riuscita del loro rendimento. Anche quando l’istruzione primaria è di alta qualità, le competenze declinano in età adulta, se non sono utilizzate regolarmente. Ciò che conta sul mercato del lavoro non è il numero degli anni trascorsi sui banchi di scuola, ma la qualità delle competenze apprese, che dipende dalla preparazione degli insegnanti.
I paesi asiatici come la Corea del sud, il Giappone, Singapore e Hong Kong che hanno scalato la classifica del Learning Curve Index 2014, scalzando dalla vetta la Finlandia, hanno sistemi scolastici fondati sull’apprendimento meccanico. Gli alunni della Corea del sud, due volte a semestre, sostengono esami che per essere superati richiedono di mandare a memoria da sessanta a cento pagine di nozioni.
Di fronte a questi dati, per tornare alle vicende di casa nostra, sorge il sospetto che l’intenzione annunciata dal nostro ministro Giannini, di anticipare a cinque anni l’ingresso nella scuola primaria e quella, condivisa con il ministro Carrozza, di ridurre a quattro il curricolo delle scuole superiori, anziché essere l’esito di una rigorosa e approfondita ricerca sulle reali necessità del nostro sistema formativo, sia invece espressione della dipendenza anche del nostro Paese dal potere pervasivo del triangolo di ferro che ormai conduce il gioco dell’istruzione mondiale. Non ci resta che attendere il ritorno all’apprendimento a memoria.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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