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“Sgocciolo che siamo gente sola. Stiamo morendo per far vivere i nostri desideri, dimenticando come sia bello vivere per far vivere i desideri degli altri. Egoismo genera Solitudine. Solitudine genera Invidia. Invidia genera Infelicità”

Questa sera al Teatro Comunale di Occhiobello e domani sera nella sala di Teatro Off al Baluardo del Montagnone: “Invidiatemi come io ho invidiato voi” e “Antropolaroid”, due spettacoli, un solo autore e un solo argomento. L’autore e regista è Tindaro Granata, che porta sul palco l’umanità, filtrata attraverso il microcosmo dei rapporti famigliari. O meglio porta sul palco la mancanza di umanità e il ricordo di quando, forse, c’era ancora: un odioso caso di abuso su minore finito in tragedia come punto di partenza per indagare le solitudini e gli egoismi quotidiani che lo hanno reso possibile; la storia recente della propria terra narrata ridando corpo e voce a ricordi ereditati dalla propria famiglia. In entrambi i casi Tindaro Granata offre al pubblico istantanee dalla società italiana del Novecento, una società di cui ognuno di noi fa parte e che ognuno di noi può contribuire a cambiare.

Tindaro-Granata
Tindaro Granata. Foto di Attilio Marasco

Originario di Tindari, nella provincia di Messina, decidi di trasferirti giovanissimo a Roma per fare l’attore. Come hai preso questa decisione e come sei diventato attore? Lo rifaresti?
E’ stato un amore capitato per caso. Da ragazzo non volevo studiare e una mia professoressa delle superiori mi consigliò, anziché leggere i libri, di guardare dei film che erano presenti nella biblioteca della scuola. Erano film del neorealismo italiano, come Vittorio De Sica o Roberto Rossellini, e della commedia all’italiana, come Monicelli e Germi. Fu guardando quelle pellicole che decisi che quella sarebbe stata la mia vita.
Poi mi trasferii a Roma e, mentre mi mantenevo lavorando in un negozio di scarpe, frequentai dei corsi di teatro. Un giorno a un corso ci mandarono a fare un provino di teatro con Massimo Ranieri. Il provino andò bene: mi scelse e iniziai a fare l’attore proprio con lui.
Lo rifarei, lo rifarei, lo rifarei!

Sei qui per mettere in scena i tuoi ultimi due lavori, “Invidiatemi come io ho invidiato voi” a Occhiobello e “Antropolaroid” a Ferrara Off, dove terrai anche un laboratorio sul personaggio. Come hai conosciuto queste realtà?
Sono stato contattato da Marco Sgarbi. Avevo però già sentito parlare di Ferrara Off e dell’Associazione Arkadiis che si occupa della stagione di Occhiobello da alcuni spettatori che vivono a Milano, ma che sono originari di qui.

Entrambi gli spettacoli parlano di sofferenza e del microcosmo delle relazioni famigliari. “Invidiatemi come io ho invidiato voi” parla della sofferenza della società causata dall’egoismo e dall’indifferenza. Tu stesso scrivi “Egoismo genera Solitudine. Solitudine genera Invidia. Invidia genera Infelicità”. Come è nato questo spettacolo?
Mi piace dire che parlano di vita, che sono una riproduzione più o meno fedele di certe dinamiche di vita e che sono come l’esistenza: complessi e semplici allo stesso modo.
Lo spettacolo “Invidiatemi come io ho invidiato voi” nasce dopo aver visto un processo durante un programma televisivo. Scrivendo lo spettacolo sono partito da ciò che avevo visto, ma per concentrarmi sulla solitudine che ognuno di noi vive a causa del proprio egoismo, per parlare di una società di cui mi sento parte. Non ho voluto concentrarmi sulla storia.

Come avete lavorato sui personaggi? Immagino non sia stato facile togliere ogni pre-giudizio…
Infatti non è stato facile, ma i miei attori – Francesca Porrini, Paolo Li Volsi, Mariangela Granelli, Giorgia Senesi e Bianca Pesce, Emiliano Masale e Caterina Carpio – sono stati straordinariamente disponibili e molto attenti a tutto: a me, al testo, alle persone che andavano ad interpretare (perché i nostri personaggi sono persone reali), alla storia e soprattutto al pubblico che ci avrebbe visto in scena.
Abbiamo cercato di lavorare e recitare pensando che i personaggi che portavamo in scena potevano essere nostri familiari, nostri amici, nostri conoscenti, perciò senza giudizio accusatorio.

Sbaglio se dico che lo spettacolo è costruito intorno a un’assenza: quella della bambina, che diventa l’emblema di come stiamo sempre più perdendo di vista le questioni, i valori fondanti dell’essere e del vivere insieme?
No, non sbagli. E’ tutto costruito sulla sua mancanza: sulla mancanza di una certa umanità, quella bella, quell’umanità che significa solidarietà, cura, rispetto, attenzione per gli altri.

Invidiatemi come io ho invidiato voi
Una scena di Invidiatemi come io ho invidiato voi. © Proxima Res. Foto di Andrea Macchia

Anche in “Antropolaroid” si parla di un abuso e di sofferenza, ma c’è anche tanta voglia di vivere, si può dire che qui c’è ancora la speranza?
Gli abusi che metto in scena sono solo una parte della vita. Non toccano lo spettacolo né i personaggi che lo subiscono. La gioia di vivere e la gioia di cercare la bellezza della vita è il sentimento fondamentale che esiste in ogni mia opera. Ho bisogno di creare speranza, anche lì dove apparentemente non c’è. Nello spettacolo “Invidiatemi” non c’è esplicitamente: la speranza non la porta lo spettacolo, ma lo spettatore che viene a vederlo.

“Antropolaroid” è una tua rielaborazione della tradizione del ‘cunto’ siciliano e nello stesso tempo è un’epopea famigliare, la ‘tua’ epopea famigliare. Qualcuno dei tuoi famigliari ha assistito allo spettacolo e quali sono state le loro reazioni?
I miei genitori, mio fratello e cognata, i miei nipotini allora di 4 e 6 anni, i miei zii e cugini e tutto il mio paese. La storia è romanzata perciò alcuni mi hanno obiettato alcune cose che non corrispondevano al vero… o forse non corrispondevano al vero che loro conoscevano.

Lo spettacolo è costruito intorno a tre elementi: la luce, la voce, il corpo…
Sì. Ma aggiungerei anche : ricordo, terra, antichità, futuro, gioia, tristezza, passione, sangue, anima, dolore, risate… Ti ricordi quanti pomeriggi che correvano risate? Non si può raccontare quanto si rideva quando eravamo giovani!

In “Antropolaroid” racconti come la Sicilia è cambiata, o non è cambiata, in questo secolo. Da quando te ne sei andato, hai visto cambiamenti? Quali?
Non è cambiato nulla. Forse è un bene per certi versi, per altri è un grande male. Certo le persone ai semafori stanno col cellulare in mano, nei bar anche. La gente è come nel resto d’Italia: si fa selfie, i bambini hanno il cellulare e scaricano da internet giochi improbabili. Non è cambiato nulla, fortunatamente, siamo come eravamo 100 anni fa.

Link correlati
Leggi la nostra recensione di “Invidiatemi come io ho invidiato voi”
Invidiatemi come io ho invidiato voi, venerdì 27 novembre, Teatro Comunale Occhiobello
Antropolaroid, sabato 28 novembre, Teatro Ferrara Off

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Federica Pezzoli

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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