Skip to main content

S’intitola “Vorrei che morissi d’arte”, il nuovo album di Mico Argirò, una visione personale della contemporaneità tra sentimenti puri, scampoli di vita reale, scacchisti e potenti, attese struggenti e contaminazioni musicali.
Il disco è un viaggio nel cantautorato e nel folklore italiano, con sorprese e assoli pronti ad interrompere melodie e situazioni. Mico Argirò subisce l’influenza di De André, De Gregori, Capossela, senza nascondere lo sguardo verso Sting, Beatles, Yann Tiersen e Pink Floyd.
Il brano che dà il titolo all’album è un’apparente contraddizione di parole, un gioco a base di pop-rock, una provocazione espressiva un po’ sopra le righe, volutamente in contrasto con la gradevole voce di Mico e la verve dei suoi musicisti.

1
Figura 1: la copertina del nuovo album di Mico Argirò

Da questo caos di riferimenti e armonie nasce “Figlio di nessuno”, un personaggio che suona la tromba vagando per le vie della città, senza chiedere nulla in cambio. Gli strumenti interagiscono con i rumori del quotidiano, tra un caffè al bar e il traffico della città. Nel finale la tromba accenna a qualche nota di “’O surdato ‘nnammurato”.
L’amore tra due ragazzi è il tema di “Saltare”, brano dolce e assoluto, come è giusto che sia questo sentimento. “Chissà se tornerà?”, una delle migliori melodie del disco, racconta un altro aspetto dell’amore, la storia di un anziano in attesa di chi non potrà venire più. Intorno a lui la vita continua, i rumori della strada e la fisarmonica chiudono malinconicamente la giornata.
“Il polacco” è un uomo senza catene e senza meta, probabilmente passato almeno una volta accanto ad ognuno di noi. Il sound miscela gli ottoni dell’est europeo a sonorità latine e percussioni a base di cajon.

2
Figura 2: Foto di gruppo durante le riprese del videoclip “Il polacco” (Mico Argirò al centro in piedi con la chitarra in mano)

“Lo scacchista” calcola ogni passo della sua vita, ricollegandosi a “Vorrei che morissi d’arte”, il brano iniziale, rivelando chi sia il destinatario del minaccioso augurio.
“Money”, a tempo di reggae, abbina soldi e potenti alle tempeste metaforiche. L’omonimo brano dei Pink Floyd è un punto di riferimento importante del progetto, al punto da creare un conflitto stilistico.
Il disco di Mico Argirò è un laboratorio di caotica creatività, una sfida in cui esperimenti e sfumature si attirano e qualche volta si respingono. Stili e linguaggi ci regalano il ritratto di un autore a cui non mancano idee, coraggio e personalità. Le canzoni incuriosiscono e, come sirene, inevitabilmente catturano l’attenzione. Sopra a tutte: “Chissà se tornerà?” “Figlio di nessuno”, “Saltare”.

3
Figura 3: Mico Argirò

Una domanda a Mico Argirò:
Come è nata l’idea di scrivere una tua “Money”?
“Money” è il pezzo centrale del disco, così come lo è l’economia nel nostro secolo. Il punto di vista è quello di un potente col “destino del mondo sul mignolo”, chiuso in una stanza con droga e amore mercenario, “mentre fuori infuria una tempesta”. Musicalmente la fusione con il brano dei Pink Floyd c’entra non soltanto tematicamente ma anche concettualmente. Inoltre, il gruppo inglese è stato tra i primi a inserire i suoni della vita reale nelle canzoni, elemento costantemente presente nei miei nuovi brani. La musica d’autore è spesso un genere chiuso su se stesso, a me piace aprirmi, sperimentare, mischiare.

Video Ufficiale: “Il polacco”

tag:

William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it