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Abbiamo incontrato lo chef Martino Beria, impegnato in un corso di formazione con un’equipe di chef nel meraviglioso panorama delle Dolomiti. Martino Beria, uno dei migliori chef d’Europa nel campo della sana alimentazione. E’ giovane ma già grande maestro, con un percorso di vita intenso e movimentato. Migliaia di appassionati di cucina seguono le sue scoperte, proposte e suggerimenti sui social e di persona, apprezzandone la creatività, la versatilità e la simpatia. E’ un vulcano in piena attività e la sua visione di cucina e del cucinare è perennemente in evoluzione.

Lei è molto conosciuto e seguito. Vuole raccontare quali sono stati gli esordi della sua carriera?
La cosa è nata da una passione ma anche da un’esigenza: a 11 anni dovevo stare da solo in casa perché la mamma lavorava tanto ed era necessario per me, tra le varie cose, anche cucinare. Non ero disposto a mangiare male, perciò ricercavo la qualità seguendo anche i miei gusti di bambino non ancora ben definiti, scoprendo in continuazione cose nuove. Sono sempre stato curioso e questo ha favorito la mia ricerca continua nel tempo. A 16 anni, quando frequentavo il Liceo classico, ho cominciato a cercare lavoro come cameriere per la stagione estiva, ma durante le mie ricerche ho compreso di voler unire la mia passione per la cucina al lavoro e ho quindi iniziato la mia gavetta in un ristorante della zona (Mirano in provincia di Venezia). Ho scoperto di amare il lavoro in cucina che trovavo appagante ed affascinante, ed ho capito che proprio quello era il mio ambiente. In seguito ho lavorato per un ristorante storico molto conosciuto in zona che faceva parte di una nota catena di ristorazione e catering. Ho cominciato da zero, con molta umiltà, lavoravo 10-12 ore al giorno, disposto ad imparare senza aspettarmi grandi realizzazioni di guadagno, soddisfatto a sera di avercela fatta. Cambiavo spesso luogo di lavoro per spaziare e apprendere quanto più possibile, assorbivo informazioni e indicazioni come una spugna.

La cucina quindi è stata il suo principale interesse?
Nella vita ho fatto anche altre cose oltre la cucina: ho studiato contrabbasso al Conservatorio e ho lavorato in seguito come musicista. Ho conosciuto e operato nell’ambito mediatico che riguarda la gastronomia con un sito internet abbastanza grosso, sviluppando ricette e curando l’aspetto fotografico, molto importante. Dopo una breve esperienza per ‘Giallo Zafferano’ ho deciso con mia moglie di creare qualcosa di nostro. Avevamo nel frattempo sposato la scelta vegana e, nel 2013, abbiamo creato un sito nell’intento di far conoscere a più persone possibili questo stile di vita (veganogourmand.it), attraverso belle immagini, buone ricette e informazioni di qualità! Da quel momento ho cominciato a tenere tantissimi corsi di cucina e mi sono riscritto all’Università, al corso di Scienza e Cultura della Gastronomia e della Ristorazione: progredivo con il lavoro e applicavo gli insegnamenti universitari diffondendoli al mio pubblico di utenti, lettori e corsisti. In questo ambito accademico molto scientifico, ho capito a fondo quanto ci fosse bisogno di una figura che comunicasse con la gente e trasmettesse concetti e saperi che fino a poco tempo fa non erano particolarmente noti e diffusi. Mi sono quindi trovato ad insegnare ai professionisti, ad essere consulente di aziende del settore produttivo e non solo, ho avviato ristoranti, arrivando fino in Russia. Tutte esperienze segnanti ed edificanti, per me. Ho avuto la grande occasione di poter pubblicare un primo progetto editoriale con la Feltrinelli (Vegano Gourmand) che mi ha portato a conoscere un mondo ancora diverso, quello dell’editoria!

La scelta vegetariana e vegana sottende una vera e propria filosofia di vita. Vuole spiegare i valori di questa scelta?
Essere vegetariani è, secondo me, un primo step di pseudoconsapevolezza che porta gradualmente a diventare vegani. All’inizio, la mia scelta di essere vegano aveva motivazioni non palesemente etiche ma religiose: avevo infatti sposato la filosofia buddista e volevo portarla avanti con coerenza. Un vegetariano vuole un mondo meno violento nei confronti degli animali, ne rifiuta la carne ma ne consuma i derivati, cosa che in sé è una contraddizione in termini etici. Il problema è che il mondo attuale ha estremizzato la produzione di tutto ciò che è legato all’animale, fondando la nostra economia sulla grande produzione animale, dal dopoguerra in poi, giustificabile con quello che allora era richiesto: simboli forti di sicurezza e di sviluppo. Come vegano e buddista cerco di fare meno male possibile agli altri esseri, e come chef ricerco, propongo, diffondo e studio l’aspetto culturale, tecnologico e organolettico del cibo, per portare la cucina vegana agli stessi livelli della cucina onnivora. Tutti riconosciamo la stretta connessione tra cibo e benessere.

Qual è il rapporto tra cucina vegana e salute?
Essere vegani incide in maniera non solo determinante ma radicale sulla salute dell’individuo, soprattutto nel momento storico in cui viviamo, in cui il cibo è superprocessato e la catena produttiva animale prevede l’uso di antibiotici e altri coadiuvanti chimici: l’intensività prevede e necessita questo. La scelta vegana, tra le varie motivazioni è anche una scelta salutistica, che incide su ognuno di noi secondo la propria fisiolgia. Ci aiuta a non assumere più ormoni animali e antibiotici presenti nel latte e nella carne, risolve le problematiche legate all’assunzione di lattosio, spesso non digeribile dalla maggior parte della popolazione, riduce a zero l’assunzione di grassi saturi e di colesterolo, introduce alimenti integrali molto più salutari e ricchi di oligoelementi utili, elimina le proteine di derivazione animale, nelle quali la ricerca ha dimostrato ampiamente che sono contenuti elementi cancerogeni.

Nella sua professione a 360° che comprende la cucina, la collaborazione con riviste e case editrici, consulenza e formazione, qual è la sua attività preferita?
Non ce n’è una in particolare: le affronto tutte con emozione e passione. Io sono appassionato sia del fare cucina, insegnare, rapportarmi con le persone, scrivere: in questi giorni sto proprio finendo la mia terza pubblicazione. Non potrei rinunciare a nulla di tutto ciò! Lavorare nelle cucine mi ricorda da dove sono partito, un ambiente in cui sto bene, in cui sono protetto, dietro alle quinte; presentare pubblicamente un piatto a centinaia di persone mi mette in una condizione diversa sempre molto stimolante; scrivere un libro mi da la sensazione di poter parlare a migliaia di persone: emozioni differenti e tutte bellissime!

Quali sono gli ingredienti che predilige?
Ho una visione abbastanza organica della cucina e penso che ogni ingrediente sia un coadiuvante per arrivare al risultato finale, che all’origine era solo un’idea, un’immagine mentale. Direi che l’ingrediente che preferisco è la cultura, che non è palpabile ma trasversale.

In che direzione sta andando la cultura vegana?
In questo momento siamo in fase di crescita esponenziale: ogni paese la manifesta in modo differente, e l’Italia è uno dei più fertili. Non si parla esattamente di diffusione della cucina vegana ma della direzione di tecnologie di comunicazione che favoriscono questo processo, con la possibilità di scambiare opinioni e accedere alle informazioni in tempo reale. Rimane il fatto che c’è sempre maggior richiesta e questo sta incidendo sempre più sul mercato: il mondo della produzione alimentare e della ristorazione stanno rispondendo.

Quali sono i suoi sogni per il futuro?
Sogno di essere felice, cosa che auguro a tutti! A livello lavorativo c’è il sogno di realizzarmi al meglio, continuare quello che sto facendo. Nello specifico, mi piacerebbe riuscire a cogliere nell’aria qualche segnale che mi dica “fermati e apri qualcosa”, per far conoscere ancora di più la mia cucina, dove chiunque possa venire a mangiare. Devo anche riconoscere che uno come me fa fatica a fermarsi perché è consapevole che si possa fare sempre di più, ricercando non solo piatti ma anche prodotti sempre nuovi da creare e diffondere: la soddisfazione di inventare ciò che nel mercato ancora non c’è ma tutti vogliono è qualcosa che mi stuzzica e non mi fa fermare mai.

L’intervista è terminata ma Chef Martino Beria non accenna ad abbandonare quel sacro fuoco della passione che traspare in ogni suo gesto. Carisma, capacità e voglia di continuare nella sua ricerca saranno i suoi accompagnatori nella sua lunga carriera.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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