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“L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”

(Costituzione della Repubblica Italiana, art.41).

Nel panorama della teoria e della pratica aziendale è sempre più facile imbattersi in espressioni come bilancio sociale, bilancio di sostenibilità, codice etico, accountability e certificazione degli standard di qualità dell’impresa: tutti documenti attraverso i quali l’azienda tenta di rileggittimare la propria attività, dichiarando la propria attenzione verso la comunità di riferimento, enfatizzando il proprio legame con il territorio e il proprio impegno per la sua tutela, dal punto di vista culturale e/o ambientale. In altre parole si asserisce di essere un soggetto economico che, perseguendo il proprio interesse prevalente, contribuisce a migliorare la qualità della vita dei membri della società in cui è inserito.
Salvo poi scoprire che nella realtà dei fatti spesso questi rimangono solamente documenti, dichiarazioni d’intenti formali, che non si traducono nella vita quotidiana delle aziende o, sarebbe meglio dire, di coloro i quali in quelle imprese lavorano, delle loro famiglie e dei territori sui quali avviene la produzione.
Insomma la “fabbrica per l’uomo” di olivettiana memoria rimane una bella utopia. Spesso, ma fortunatamente non sempre. Stando a “Corriere Imprese”, l’inserto economico del Corriere della Sera, in particolare in Emilia Romagna si possono contare alcuni imprenditori impegnati come l’industriale di Ivrea a “distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”, attraverso finanziamenti per progetti sociali e istituzioni culturali e scientifiche erogati direttamente o attraverso fondazioni di impresa.
Fra questi c’è Lino Aldrovandi, ad di Renner Italia, che nel 2015 ha deciso di strutturare i propri interventi a favore del no-profit addirittura attraverso una piattaforma di responsabilità sociale: “La buona vernice”. L’elemento innovativo de “La buona vernice” è che i finanziamenti verranno erogati attraverso un sistema di votazione on-line su www.labuonavernice.it.

Il nome deriva forse dal core business di Renner: vernici all’acqua per legno. L’azienda è nata dal 2004, quando Adrovandi viene licenziato dalla multinazionale statunitense che ha acquisito l’azienda da lui amministrata. Lui non ci sta, raggiunge un accordo con gli eredi del fondatore della sua ex azienda e il maggiore azionista della Renner Sayerlack, società brasiliana detentrice di know-how nell’ambito delle vernici per il legno e leader di mercato in Sudamerica. A credere in questo nuovo progetto sono anche i ricercatori chimici e diversi dipendenti dell’altra azienda, che si dimettono per seguire Aldrovandi. In questi anni Renner è diventata la dimostrazione che business ed ecosostenibilità non sono binari divergenti; con i suoi prodotti ha restaurato gratuitamente le parti lignee dell’antica Torre Prendiparte di Bologna e ha rivestito l’Albero della Vita di Expo Milano 2015. E soprattutto ha davvero messo in pratica un sistema di produzione etico e sostenibile per l’ambiente e per i suoi dipendenti: grazie a un accordo sottoscritto con Filctem Cgil dal 2012 nelle bustepaga viene incluso anche il 50% del risparmio energetico, mentre dal 2013 ha preso il via “Uno stipendio in più per tutti” che prevede la suddivisione tra tutti i 250 dipendenti del 15% degli utili.
Dunque, a quanto pare, davvero una “buona vernice” di nome e di fatto.

La buona vernice
Una delle immagini del concorso “La buona vernice”

Dal 15 maggio su www.labuonavernice.it è stato indetto un concorso, che si concluderà martedì 1 settembre, attraverso il quale Renner destinerà una donazione complessiva di 35.000 euro a 10 progetti di rilevanza sociale presentati da organizzazioni no-profit impegnate sul territorio della provincia di Bologna in ambiti di solidarietà e servizi di assistenza, promozione della cultura, incentivazione alla pratica sportiva fra i giovani. Sono 76 le associazioni candidate al finanziamento, i cui progetti si possono consultare e votare sul sito. L’associazione Nuovamente ha per ora conseguito il maggior numero di preferenze. Propone la realizzazione di laboratori sui temi della legalità e della corruzione, con studenti delle scuole superiori e dell’università di Bologna, che diventeranno protagonisti di una campagna comunicativa per e nella comunità; Bologna Studenti vorrebbe rendere il suo doposcuola gratuito sempre più inclusivo attraverso figure specifiche che aiutino in tutte le materie e nell’insegnamento dell’italiano, per combattere dispersione scolastica e emarginazione; l’associazione SenzaSpine vuole realizzare spettacoli che includono anche la presenza di attori, ballerini ed effetti visivi e portare con la sua orchestra di under 30 la musica classica in luoghi in cui è difficile da incontrare; mentre l’associazione Banco di Solidarietà di Bologna ha presentato “1€ = 1kg” per acquistare pacchi di pasta e generi alimentari per le oltre 260 famiglie che assiste a Bologna. Questi sono solo alcuni esempi, fra i partecipanti ci sono anche Avvocati di Strada Onlus e la circoscrizione regionale di Amnesty International e molti altri.

Maggiori info su: www.labuonavernice.it

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Federica Pezzoli


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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