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di Fabio Zangara

Per capire il conflitto arabo-israeliano è necessario conoscere la storia. Solamente una riflessione seria e onesta sugli eventi storici ci permetteranno di capire un conflitto che nessuno può vincere.
Dalla metà del XIX secolo nascono, fra i popoli assoggettati alle grandi potenze europee – i maggiori esempi sono Austria e Inghilterra – movimenti che come principale istanza hanno il riconoscimento della propria identità nazionale e la conseguente indipendenza dallo “straniero oppressore”. In questo clima si inserisce in Europa il nazionalismo slavo in contrapposizione al dominio asburgico, mentre in Asia il Guomindang giapponese lotta contro le ingerenze inglesi, francesi, tedesche e statunitensi nel proprio paese. Nella ricerca di un’identità nazionale si inserisce anche il sionismo ottocentesco. In risposta alla mancanza di uno Stato ebraico e alle persecuzioni violente (“pogrom”) che le comunità ebraiche subivano, specialmente nell’est Europa, Theodor Herzl, intellettuale ungherese, nel 1896 pubblica il volume “Lo Stato ebraico”, saggio storico in cui sostiene che l’unica soluzione per la causa ebraica è la costruzione di un proprio stato. Herzl inizialmente ipotizzò l’Argentina come luogo predestinato ad ospitare la nuova casa ebraica; solo successivamente egli scelse la Palestina, in contrasto con i pareri dei laici intellettuali del sionismo storico, fra i quali Leon Pinsker e Moses Hess, che non volevano ricadere nella “melassa della tradizione biblica ultra ortodossa”. L’anno successivo (1897) Herzl convoca a Zurigo il primo congresso dell’Organizzazione sionista mondiale (Wzo) in cui viene deciso il “ritorno a Sion”, da ottenersi attraverso l’emigrazione in Palestina di coloni e l’appoggio delle grandi potenze.
I sionisti europei approdano in una terra, la Palestina, che aveva visto una convivenza secolare e pacifica fra comunità araba ed ebraica ottomana, una realtà storica confermata nel 1947 dalla testimonianza rilasciata allo speciale Comitato delle Nazioni Unite sulla Palestina dell’eminente rabbino Yosef Tzvi Dushinksy. Ma sono due i fattori fondamentali a far degenerare la situazione. La presenza di un nutrito gruppo di estremisti religiosi che professavano l’intenzione di colonizzare la Palestina nella sua integrità, seguendo la loro interpretazione della Bibbia, e di conseguenza cacciare l’arabo da quelle terre. L’altro fattore è il potere economico elevatissimo sul quale il movimento sionista poteva fare affidamento, grazie all’appoggio del Fondo Monetario Ebraico, che raccoglieva finanziamenti da potenti famiglie ebree europee, come ad esempio i Rothschild.
Ma è il 1917 l’anno tragico per la popolazione araba in Palestina: il ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour, con la sua famosa Dichiarazione, riconosce esclusivamente ai sionisti il diritto di costruire un proprio Stato, di fatto distruggendo ogni speranza di autodeterminazione della popolazione araba. Nel 1922 l’Inghilterra riceve dalla Società delle Nazioni il mandato per l’amministrazione della Palestina. Sotto l’amministrazione inglese viene istituita la Jewish Agency per promuovere l’economia ebraica e l’esproprio delle terre ai contadini palestinesi tramite l’acquisto di queste dai possidenti stranieri. Vengono quindi sempre di più rafforzati gli intenti della Dichiarazione di Balfour e le dichiarazioni dei maggiori esponenti del Wzo confermarono i timori della comunità araba. Nel 1921 infatti Eder, leader sionista, dichiara: “Ci sarà solo una nazione in Palestina, e sarà quella ebraica. Non ci sarà eguaglianza fra ebrei e arabi, ma vi sarà la predominanza ebraica appena la proporzioni demografiche ce lo permetteranno”, Herzl ammette inoltre di voler “sospingere la popolazione palestinese in miseria oltre le frontiere”. Queste dichiarazioni ispirarono un vero e proprio movimento terrorista sionista con la costituzioni di gruppi armati come lo Stern e Irgun, responsabili di gravi attentati contro ufficiali inglesi e popolazione civile.

Nel 1947 gli Inglesi rinunciano al mandato e cedono la gestione all’Onu, anche perché il territorio stava sempre di più passando sotto l’egida statunitense. L’Onu propone nella Risoluzione 181 uno dei tanti piani di “spartizione” della Palestina: alla popolazione ebraica sarebbe andato il 54% delle terre anche se costituivano solamente il 30% della popolazione presente. Nel frattempo il carattere del movimento sionista non cambia. Ben Gurion il 1 gennaio 1948 scrive: “C’è bisogno di una reazione brutale. Dobbiamo essere precisi su coloro che colpiamo. Se accusiamo una famiglia palestinese non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti. Dobbiamo fargli del male senza pietà, altrimenti non sarebbe un’azione efficace”.
Il 14 maggio 1948 nasce lo Stato d’Israele indipendente, che i palestinesi ricordano con Nakba (catastrofe).

Dovrebbe essere chiaro a tutti, in particolare a studiosi, esponenti politici, persone di cultura, che così come è dannoso nascondere o sminuire le responsabilità dei gruppi terroristici arabi, lo stesso deve essere per le golazioni politiche e militari di Israele avvenute nel corso della storia. Omettere fatti e azioni che portarono lo stesso Aharon Cizling, ministro del primo governo d’Israele, a dichiarare: “Adesso anche gli ebrei si sono comportati come i nazisti tutta la mia anima ne è turbata”, non ci porterà mai a capire che cosa è accaduto e sta accadendo ancora oggi in quelle terre. Alla luce degli ultimi avvenimenti i propositi e le dichiarazioni di Herzl, Eder e Gurion sono tristemente profetiche, segnali di una profezia avveratasi anche a causa dell’ignoranza storica che ha permeato l’intero decorso della vicenda. Golda Meir dichiarò nel 1969 al The Sunday Times: “Il popolo palestinese non esiste… Quando siamo venuti, noi non li abbiamo cacciati e non abbiamo preso il loro Paese. Essi non esistono”. Per Golda Meir e per chi decise di collocare lo Stato ebraico in Palestina, questa terra era “Terra nullius”, terra di nessuno: gli abitanti della Palestina non venivano considerati, nemmeno come entità numeriche.

La Storia non è pregiudizio ideologico ma conoscenza. Nascondere questi fatti è grave tanto quanto negare l’esistenza dei lager nazisti che uccisero 6 milioni di ebrei.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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