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Mobilità, accelerazione della conoscenza, la conoscenza può girare e arrivare ovunque. Crollino le mura dei Sancta Sanctorum. Cada Sansone con tutti i suoi Filistei. Mentre il mondo della conoscenza va profondamente trasformandosi intorno a noi, restano pressoché identici i nostri approcci, i nostri modi di gestire la conoscenza.
E poi ci sarebbe la solitudine dei numeri primi, abitanti digitali dei mondi virtuali? Non è che gli amanuensi fossero così socievoli, così calati nel reale dai loro scriptoria. Per di più la cultura non girava, se ne stava impettita nei tomi tra gli scaffali di biblioteche dalla Malatestiana alla Bodleiana, che per loro prestigio altra funzione non avevano che conservare piuttosto che far circolare.
Abbiamo appena celebrato la Notte dei ricercatori, promossa dalla Commissione Europea con l’obiettivo di creare occasioni di incontro tra ricercatori e cittadini e di diffondere la cultura scientifica.
Ecco un bell’esempio, seppure limitato, di uscita dei saperi dai luoghi in cui si producono, di mobilitazione delle conoscenze, di quello che i teorici della materia come Francisco Javier Carrillo chiamano Knowledege Mobilization (KM). Carrillo, che è docente al Monterrey Institute of Technology and Higher Education, oltre che presidente del World Capital Institute, è il maggiore studioso mondiale di Knowledege Systems e di Knowledege Economy; non ho mai capito perché in Italia non ci sia una, che sia una, delle sue opere tradotte. Altro segno dei tempi e dei nostri ritardi mentali e culturali sempre più ardui da colmare.
Mentre internet, se non l’avevamo compreso prima, ci insegna praticamente che la conoscenza abita dappertutto, noi ancora facciano fatica a renderci famigliare questo concetto. Invece di mobilitare le conoscenze, che fortunatamente oggi, volenti o nolenti, girano, circolano, si diffondono, quando decidiamo di rendere la nostra conoscenza mobile la ipostatizziamo.
E allora le nostre ipostasi sono le mostre tematiche, le rassegne, i festival. Facciamo uscire i saperi, le conoscenze, la cultura dai loro contenitori usuali per esporli, per esibirli, per costruirci mercati e commerci, per farci un’economia di guadagni anziché di investimenti.
Mobilitare le conoscenze serve alle persone, significa investire sul capitale umano, su cui fonda l’economia della conoscenza. Perché il capitale umano idea, inventa, crea, ricerca, fa progredire, e questo è possibile se la stimolazione dei saperi, delle conoscenze, delle culture è ampiamente diffusa e ovunque accessibile.
Più che di eventi abbiamo bisogno di abitare le conoscenze, di strutture aperte, permanenti, dinamiche, interconnesse, distributori di saperi come una volta le fontane nelle piazze fornivano quel bene prezioso che è l’acqua. Ora il bene indispensabile è la conoscenza, il più possibile diffusa, per stimolare le menti, le idee, le intelligenze, per far crescere un’umanità di cittadini sempre più padroni di se stessi. Questo non vuol dire che vengono meno i luoghi dove lo studio è rigoroso, sistematico, metodologico, dalle scuole alle università, dai musei alle biblioteche.
Ma non è più sufficiente solo questo, non è più sufficiente istruire e studiare, bisogna esporsi al sapere come ci si espone al sole, se vogliamo essere un’umanità matura in grado di far fronte alle sfide della complessità, per le quali non ci sono scorciatoie, se non apprendere per tutto l’arco della vita.
Apprendimento e collaborazione, apprendimento e circolazione dei saperi sono necessari per innalzare il livello del pensiero umano, per comprendere come proteggere, difendere e sostenere l’umanità. Persona, conoscenza e azione sono i fattori fondamentali per una mobilitazione efficace delle conoscenze. Possono sembrare fattori semplici, ma in realtà sono straordinariamente complessi. Richiedono politiche e governo, richiedono riflessioni nuove su come impegniamo le nostre risorse, su come oggi si fa cultura.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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