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Ernesto Galli della Loggia, con un editoriale apparso sul Corriere della Sera, accusa la scuola italiana di aver abbandonato il merito, di aver abdicato alla selezione e quindi alla pratica delle bocciature. Così non sono più solo “i capaci e meritevoli” a proseguire negli studi, ma tutti indistintamente in nome di una mal concepita inclusione.
Il fatto che il 15% degli studenti non termini le scuole superiori e che il tasso di drop out italiano sia tra i più alti in Europa, evidentemente per l’editorialista del Corriere della Sera non ha a che fare con le bocciature, come se l’abbandono scolastico fosse solo l’esito scontato di studenti disgraziati, privi di merito e di impegno.
Già questa percentuale dovrebbe essere sufficiente a far ragionare non tanto circa il merito o meno degli studenti, ma sulla natura delle nostre scuole. Un sistema scolastico che perde per strada il 15% dei suoi utenti dovrebbe essere immediatamente sottoposto alla lente di ingrandimento, interrogarsi sulla sua qualità e sulla sua produttività che qualunque esperto di economia assumerebbe come metro per misurarne efficienza e convenienza.
Ma se ci si preoccupa perché la scuola non boccia a sufficienza, il metro di valutazione della bontà della scuola non è più il numero dei promossi, bensì il numero dei respinti.
Nessuno potrà negare che la percentuale di quanti non giungono al compimento del corso di studi, se comunque nominalmente non può essere considerata alla voce bocciature, quantifica i tanti che la nostra scuola ancora respinge perché non in grado di trattenere.
Quindici ogni cento, tante classi ogni anno, a cui addizionare circa il 13% di studenti bocciati in prima nelle scuole superiori, spesso preludio di precoci abbandoni scolastici. È falso, dunque, che la scuola non boccia, è solo che seleziona in un modo diverso da quello che è capace di concepire l’intelligenza di Ernesto Galli della Loggia.
Cosa costa al paese perdere allo studio dal punto di vista delle risorse umane ed economiche così tante ragazze e tanti ragazzi, che andranno a ingrossare quel 27% di neet, giovani tra i 15 e i 29 anni, che non fanno nulla?
Perché dobbiamo continuare ad alimentare il pensiero negativo della scuola italiana che non serve perché non boccia?
Evidentemente il nostro teorico del pensiero ‘usa e getta’ deve appartenere a quella specie italiana a cui ancora viene l’orticaria alla sola espressione “Non uno di meno” o alla sola evocazione di don Milani e della sua “Lettera ad una professoressa”, considerati sciagure della scuola italiana.
Questi pensatori italici, però, potrebbero risparmiarci i luoghi comuni, i pensieri a scorciatoia, e considerare che quando si pretende di ragionare di scuola si entra in un campo complesso come tutti i sistemi. Non sorge il sospetto che dire che la scuola italiana non funziona perché non boccia sia una conclusione un po’ troppo affrettata? È davvero difficile pensare che nella scuola agiscono così tante variabili che prima di ogni altro discorso dovrebbero essere prese in attenta considerazione? Forse quando si parla di scuola non si vedono, ma basterebbe aprire un po’ di più gli occhi e allora apparirebbe una scuola fatta di studenti, famiglie, comunità, istituti, insegnanti e insegnamento; insomma il successo scolastico, la conquista dei saperi sono un itinerario molto più articolato e rischioso dei soli banchi, cattedre, voti e registri.
L’ha capito anche l’Ocse da tempo, basterebbe di tanto in tanto leggere qualche rapporto.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sostiene che non è la sola preparazione e determinare l’insuccesso scolastico. E che sarebbe meglio, anziché bocciare, dedicare più attenzione agli studenti fragili. Gli esperti Ocse non hanno dubbi, la bocciatura, in pratica, non ha evidenti benefici per gli studenti e per i sistemi scolastici nel loro complesso. La bocciatura è solo un modo costoso di affrontare il problema degli insuccessi, perché fermando gli alunni la probabilità che abbandonino gli studi sale.
Un modo di gran lunga migliore per sostenere gli studenti con difficoltà di apprendimento o problemi comportamentali è offrire loro più qualità, più ore di insegnamento, più occasioni di apprendimento, una scuola aperta e più flessibile e, soprattutto, più amica.
Nell’epoca della società della conoscenza, dei saperi diffusi, dell’educazione permanente per tutti preoccupa il codinismo degli intellettuali italici alla Galli della Loggia che non riescono a comprendere come una scuola che boccia è una scuola che fallisce e con essa l’intera società, a meno che non si ritenga, con un ragionamento francamente angusto, che la colpa sia esclusivamente dei discenti, i quali, mandati a scuola per crescere e maturare, si pretenderebbe che fossero già pienamente responsabili dei loro insuccessi.
Con l’attitudine scolastica credo non sia mai nato nessuno, è qualcosa che si conquista, ma se la scuola annoia, non è connessa alla nostra vita, e, soprattutto, se gli adulti si chiamano fuori da ogni responsabilità, sarà difficile comprenderne l’utilità, e la conquista del sapere sarà opera di pochi, non per merito ma solo per vantaggio o indifferenza.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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