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Quando ero piccolo, percorrere e scoprire la città a cavallo della mia bicicletta era un’avventura iniziatica piena di possibilità e di emozioni. Sono rimasto convinto che non si è cittadini solo perché si nasce per caso in un determinato luogo e neppure per lo status di cittadino attribuito o conferito da una autorità.
La città è il telaio che tesse i fili della nostra crescita, della nostra formazione, della nostra vita, è il libro aperto delle opportunità personali e collettive, è lo spazio della libertà, dell’incontro, del riconoscimento, della solidarietà.
L’intenzionalità formativa non può che essere una dimensione forte e pregnante della città e della cittadinanza. Non ha senso invocare la necessità della formazione, se poi la città per prima non mette in gioco tutte le sue componenti a questo scopo. A partire dal ripensare se stessa, dal ripensare ai bisogni formativi dei suoi giovani e dei suoi abitanti in generale, senza attendere gli input dall’alto, dalle politiche nazionali. I bisogni, le necessità del cambiamento non nascono in territori lontani, ma giorno dopo giorno vicino a noi, nel territorio che abitiamo.
Se si conviene sulla necessità che la formazione oggi punti alla costruzione di mappe personali utili per orientarsi e situarsi in questo mondo dove tutto è globale, simultaneo e compresente, dove spazio e tempo si dilatano, dove valori, credenze, lingue si manifestano, si contaminano, si intersecano, non si può che riconoscere che oggi è la città ad essere il laboratorio più significativo, più ricco, più interessante per la formazione, per una formazione coerente con le aspettative culturali che la società ripone in merito al fatto formativo.

La componente educativa oggi non ha più la sua caratteristica centrale nella scuola, ma nella territorialità. È la territorialità che rende le esperienze educative calde, che consente di sporcarsi sanamente le mani, che rende le esperienze educative piene di risonanze e fortemente contestualizzate, è questa profonda immersione nella realtà che la città deve preoccuparsi di favorire e di accogliere, non tanto l’istruzione curriculare, che non è di sua competenza.
Ogni momento della città dovrebbe contenere un’opportunità educativa strutturata, rivolta soprattutto ai giovani. Una città che non sa creare cortocircuiti con i suoi giovani è destinata a perdere energia, a spegnersi. E allora perché questo non accada è necessario che la città sia una realtà significativa per i giovani, che offra loro implicazioni operative, emozionali e progettuali.
Una città senza un proprio progetto formativo è una città senza futuro, perché non si sa pensare in prospettiva. Un progetto formativo con un ruolo, una funzione, una responsabilità per ciascuno: il governo della città in primo luogo, i servizi pubblici, le istituzioni e le strutture culturali, il mondo della creazione e della produzione culturale, dell’arte, delle scienze e delle nuove tecnologie, il mondo delle organizzazioni economiche e del lavoro, le associazioni, la stampa, la radio e la televisione locale.
E, senza dubbio, in questo quadro generale della città, anche la scuola. La scuola può svolgere un grande ruolo per quanto riguarda il lavoro sulle idee e le opzioni cognitive. Alla scuola compete il compito di far emergere i modi diversi attraverso i quali l’uomo si rappresenta il mondo. La scuola è la palestra che esercita al conflitto cognitivo, al confronto fra idee diverse per prendere coscienza di cosa significa la cultura, della necessità che ogni persona ha di ricostruire mentalmente la realtà esterna, di dare una spiegazione di essa. Ma le spiegazioni possibili sono tante, per questo essere istruiti significa rispettare la diversità e nello stesso tempo cercare di condividerla il più possibile. Se questa doppia lezione non si impara a scuola, è difficile che possa essere insegnata altrove. È dovere della scuola garantire la comunità che tale servizio è svolto con serietà e tenacia, perché è a scuola che si può e si deve imparare a imparare, questo è l’obiettivo prioritario della scuola al servizio del territorio e dei diritti di cittadinanza.
Due oggi sono le principali esigenze di formazione che definiscono l’istruzione: un alto grado di intellettualità e un elevato grado di solidarietà. Il primo per consentire a ciascuno di raggiungere i livelli di sviluppo scientifico e tecnologico richiesti dalla civiltà contemporanea; il secondo, per apprezzare i valori delle diverse culture, per superare la crescente emarginazione e l’esclusione che la globalizzazione della società di oggi genera e tende ad aumentare.
La cittadinanza può anche essere come una pianta che cresce in mezzo a un terreno contaminato, ai margini delle autostrade più trafficate o tra le fabbriche più inquinanti. La città bisogna sapersela conquistare, perché è viva, perché palpita, perché è desiderio. Come la Zenobia di Calvino per la quale non si può utilizzare la classica categoria della felicità e dell’infelicità, ma quella del desiderio. Ci sono le città che realizzano i desideri dei loro abitanti e quelle che li ignorano fino a cancellarli.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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