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Forse la vita è proprio un sogno. Pare però che l’illusione di Calderon de la Barca oggi abbia ceduto il passo al virtuale, alla finzione del vero. Non si apprende più dalla vita, ma dalla sua mimesi, è come essere tornati nel profondo della caverna di Platone. Almeno è l’impressione che si ricava a seguire quanti sostengono l’importanza della gamification e dell’industria dell’e-learning.
“Gamification” ed “e-learning” sono termini entrati ormai da alcuni anni nel vocabolario dell’apprendimento. L’industria che ci sta dietro, secondo stime del 2015, vale circa 107 miliardi di dollari ed è in rapida ascesa sul mercato.
Imparare giocando è un vecchio cavallo di battaglia della pedagogia infantile, ma ora è il cavallo vincente della formazione per imprese, servizi, manager, università, scuole. C’è pure un sito specializzato in “learning industry”, decisamente utile a raccogliere informazioni riguardo allo stato attuale della gamification sul mercato del mondo del lavoro e, nello specifico, dell’e-learning.
Siamo un popolo di ‘gamer’: i dati confermano che almeno il 75% della popolazione occidentale lo è. E approfittarne costituisce un notevole vantaggio rispetto ai tradizionali strumenti della formazione, perché, sempre secondo gli esiti delle ricerche nel campo, una qualunque azienda può arrivare a risparmiare fino al 70% del budget dedicato alla formazione.
Non dovrebbe sorprendere nessuno scoprire che il gioco è una chiave vincente per l’apprendimento, almeno per la sua forza di coinvolgimento. La validità della ricetta della gamification è scientificamente provata: stimola il piacere di apprendere, favorisce la concentrazione, la motivazione e la memoria. I giochi tendono ad aumentare il desiderio naturale alla competizione con sé e con gli altri, al raggiungimento degli obiettivi, promuovono l’interattività, hanno regole e un risultato quantificabile, forniscono feedback in tempo reale. Si impara sempre meglio quando l’esperienza è divertente. Con l’aggiunta che i giochi aiutano in modo significativo quanti hanno difficoltà di attenzione e di apprendimento nell’ambiente scolastico normale.

Tuttavia, a fronte dello sviluppo e della diffusione dell’apprendimento gamificato, non mancano elementi su cui riflettere molto attentamente, non senza disagio e preoccupazione.
Intanto perché i dati a disposizione parlano di efficacia di queste piattaforme, con una buona dose di efficientismo aziendale, ma non ci dicono nulla sulla qualità e la natura degli apprendimenti.
Gabe Zichermann e Joselin Linder, canadesi, autori di “How Gamification Reshapes Learning”, hanno analizzato un gran numero di piattaforme gamificate, individuando le caratteristiche che ne farebbero una “metodologia” di successo.
Sostanzialmente, le strategie e il rinforzo dei comportamenti che vengono messi in campo sembrano prevalere rispetto all’apprendimento stesso. Le piattaforme sono vincenti perché nella gamification ciò che conta per l’utente è il procedere per livelli, l’assegnazione di un punteggio, il “gifting”, cioè la moneta virtuale grazie alla quale poter effettuare acquisti di beni particolari correlati all’esperienza di gioco, l’uso di avatar come rappresentazione virtuale di sé.
Ci si inoltra, dunque, lungo un terreno dove l’apprendimento pare snaturarsi, sempre più lontano dallo studio e sempre più vicino all’addestramento. Dietro al richiamo accattivante del gioco si nasconde il vero obiettivo, che non è la cultura e la ricerca, l’imparare ad apprendere, ma addestrare più facilmente le persone sulla base di obiettivi che sono determinati altrove.
Certamente il gioco è una cosa seria e ha una sua cultura. Ma attenzione, altra cosa sono la sua strumentalizzazione e la sua manipolazione. Non è questo che ci attendiamo dall’impiego delle teorie sullo sviluppo dell’intelligenza. Tutto ciò che facciamo con soddisfazione, anche se faticoso, è sempre più duraturo e gratificante di qualsiasi gioco. Il sapere, la conoscenza, l’apprendimento permanente devono servire all’uomo, ai suoi progetti, ad affrontare le sfide della vita, non ad essere un servo addestrato che si illude di essere libero in un mondo virtuale che adultera sempre più la realtà. Il ricorso al gioco, almeno come è proposto dall’industria dell’e-learning, puzza tanto di condizionamento alla Pavlov, di stimolo-risposta. Fornisce all’utente l’illusione di essere un protagonista attivo dell’interazione, quando invece non fa che accrescerne la passiva subalternità alle dinamiche della piattaforma. Più che un’attenta ricerca pedagogica volta a rivoluzionare ambienti e modi dell’apprendimento, pare celare l’interesse ad ottenere risultati funzionali al mercato del lavoro con il minimo costo. Assomiglia tanto ad una replica nel mondo dell’apprendimento dell’economia di carta che punta ad ottenere profitti rapidi senza i rischi e i costi di impresa.

Stiamo costruendo un futuro in cui non ci sarà più lavoro per tutti, lavorare sarà una fortuna, un privilegio per pochi eletti. Così anche lo studio. Non sarà più per tutti. Studiare tornerà ad essere qualcosa di riservato ai pochi. Per tutti gli altri sarà sufficiente un buon addestramento via internet. In compenso la gamification assicurerà a tutti una vita, se non felice, almeno ludica.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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