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Fa davvero sorridere che qualcuno si scandalizzi per gli ottomila euro della McDonald’s vinti da una scuola della nostra città. Non perché quella scuola con la McDonald’s abbia qualcosa a che fare, ma per il semplice fatto che dietro a ogni alunno che sta in classe ci sta una famiglia, liberissima di raccogliere come e quando vuole tutti i punti che ritiene siano utili alla scuola frequentata dal proprio figlio. A me sembra sia un interesse più che lodevole.
La scuola non merita e non ha bisogno di fustigatori, che sanno sempre di oscurantismo, specie in tempi in cui si mettono le statue in scatola, con un regresso temporale alle braghe del Giudizio Universale.
Questa mania di decidere per gli altri quello che devono fare è un vizio italico. Finché non ci sarà un laico rispetto della libertà dell’altro, faticheremo a far cresce una sana e robusta società civile, garante della libertà di tutti a prescindere dal giudizio di ognuno. È la storia di questi giorni sulle unioni civili, è la storia di ieri su divorzio e aborto.
E poi ci sono le scoperte dell’acqua calda. Pare che nessuno si sia accorto che ormai da anni il mercato dei consumi si propone come sponsor delle nostre scuole. Forse che i punti accumulati con gli acquisti di prodotti in altre catene commerciali offrono una garanzia di verginità maggiore?
Queste volontà di purezza, questi lavacri nelle parole di condanna meriterebbero di rivolgere la loro attenzione a cause migliori, come lo stato delle nostre scuole: se sono all’altezza dei bisogni formativi delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. È questo il tema che ha urgente bisogno di vero impegno, fatica, sudore e intelligenza.
Per il resto consiglierei sempre una certa cautela, specie nel nostro paese, dove i McDonald’s dominano i centri storici insieme a palazzi antichi e cattedrali, dove il fumo uccide, ma lo Stato, che siamo noi, continua a lucrare abbondanti introiti, utili anche per gestire le nostre scuole.
Quanti temono la corruzione delle nostre scuole, la svendita al mercato, si consolino perché altrove è anche peggio. Prendete la Louisiana, quella delle guerre di secessione, dove alla lotteria Powerball, che potete trovare anche in internet, si vincono borse di studio per frequentare scuole e università private; il mese scorso la lotteria ha raccolto 1,6 miliardi di dollari. Diciannove sono gli stati che in America hanno simili programmi di voucher. I buoni in media sono di 5.311 dollari per studente, devono essere accettati dalle scuole private che partecipano al programma e le scuole sono obbligate a prendere qualsiasi studente che detiene un voucher.
Il caso è giunto agli onori della cronaca nazionale americana perché gli esiti di una recente ricerca hanno dimostrato che gli studenti delle scuole private conseguono risultati scolastici peggiori rispetto ai loro coetanei che hanno avuto la fortuna di perdere la lotteria.
Morale: per favore iniziamo a preoccuparci seriamente della qualità della scuola che i nostri figli frequentano, che tutti ricevano il massimo di cui ciascuno ha bisogno per raggiungere il successo formativo e che non considerino il tempo passato a scuola, un tempo squallido, noioso, inutile e rituale.
Ben venga chi è disposto ad arricchire e qualificare tempi e spazi di apprendimento dei nostri ragazzi. L’articolo 33 della nostra Costituzione non mi sembra che lo vieti. Anzi sul tema della gestione della scuola, che i Costituenti non toccarono, recita “la Repubblica detta le norme generali e istituisce scuole di ogni ordine e grado”. Un tema che verrà recuperato solo a iniziare dal 1974, prima dai Decreti delegati e in seguito nel 1997 con l’articolo 21 della legge Bassanini, che ha introdotto l’autonomia scolastica contro una concezione centralistica della scuola.
Sono state conquiste delle forze democratiche più avvedute del paese, per sottrarre la scuola all’isolamento sociale, per aprirla al territorio, per rispondere alla domanda formativa della sua popolazione, per renderla trasparente. Non tutti vi hanno creduto e hanno apprezzato questo processo. Ancora oggi, a destra come a sinistra, l’autonomia scolastica è vissuta con sospetto, con uno scarso senso della ricchezza che può derivare alla scuola dal contributo della società.
La scuola stessa spesso si ritrae di fronte al sociale, preoccupata che vengano messe in discussione le sue prassi, le sue consuetudini, preoccupata dei giudizi e delle valutazioni.
Le nostre scuole non sono mai divenute quella casa di vetro che dovrebbero essere, che era nelle intenzioni dello stesso legislatore. I vetri delle nostre scuole sono ancora molto opachi. Il fuori e il dentro della scuola hanno appreso forse a comunicare, ma non certo a dialogare, tanto meno a conversare.
È previsto dalla legge che i Consigli di Istituto delle nostre scuole, oltre a elaborare e adottare gli indirizzi generali, determinino le forme di autofinanziamento. E dunque ben venga il consiglio di istituto che ha deciso di partecipare al concorso della McDonald’s, non ha fatto altro che adempiere alla funzione per cui è stato eletto. Ma subito sono piovute le critiche, non portatrici di un segno di crescita, ma di un preoccupante odore di regresso.
Abbiamo bisogno che le nostre scuole escano dall’appannamento, diversamente non c’è speranza di sradicare la tenacia con cui ancora resistono tradizionali pratiche didattiche, la trasmissione ex cathedra dei saperi, l’asfissia delle aule. La strada è dare fiducia all’autonomia, dare fiducia alla partecipazione, alla gestione delle scuole a partire dai bisogni e dalla realtà che sono chiamate a servire.
Ma occorre che l’idea e la considerazione che si hanno della propria scuola siano davvero grandi. In merito, un dubbio, un sospetto restano, specie se si rapportano gli oltre ottantamila euro che McDonald’s ha incassato dalle famiglie degli alunni con gli ottomila che ha donato alla loro scuola. Dieci a uno è il rapporto. L’importante è che non si creda che McDonald’s valga dieci volte più della Scuola. Su questo non metterei la mano sul fuoco.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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