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Non era necessario attendere le iscrizioni on line tramite il sito del ministero “Scuola in chiaro” per scoprire che il nostro sistema formativo, ancorché inclusivo, è ancora classista. La stessa ripartizione in licei, istituti tecnici e professionali è per sua natura una macchina di selezione sociale, neppure tanto occulta, per cui non è il caso di inscenare la solita commedia all’italiana gridando allo scandalo.
La discriminazione non la compiono i dirigenti scolastici che descrivono il contesto economico-sociale della scuola che dirigono sulla base degli indicatori forniti dal Sistema nazionale di valutazione che sono appunto: provenienza socio-economica delle famiglie, la presenza di alunni stranieri, portatori di handicap, nomadi, ecc.
Servono per compilare il Rav, il Rapporto di Autovalutazione di ogni istituto scolastico, necessario a incrociare dati di contesto e risorse in modo da accompagnare i processi e verificare i risultati.
Per cui non si faccia gli ipocriti, fingendo di accorgersi solo ora che i licei classici nel nostro paese continuano ad essere la scuola delle élite sociali per censo e per cultura. Sarebbe più onesto chiedersi perché questo stato perdura, perché disabili, nomadi, stranieri e figli di famiglie economicamente disagiate non giungono a iscriversi ai vari licei Visconti, Doria, Parini e Falconieri.
Ci sono evidenti contraddizioni in tutto questo. Innanzitutto a partire dalla “Scuola in chiaro” che espone in vetrina l’istruzione come “prodotto” confezionato dalla scuola e “consumato” dallo studente, quasi si trattasse di un mercato dove le marche più blasonate offrono la merce migliore, salvo scoprire poi che per i tempi in cui vivranno i nostri giovani è pure avariata. Il persistere del liceo classico come fastidiosa sensazione di voler continuare a restaurare un mondo morente che si ritaglia la sua isola felice nel 6% di iscrizioni. In fine, è del tutto evidente, che il sistema formativo a monte del liceo seleziona anziché promuovere.
Ciò che c’è di realmente chiaro nella nostra scuola è che così com’è funziona poco e male, è poco efficace e incapace di ridurre le diseguaglianze all’interno del sistema.
Negli Stati Uniti d’America la Chan Zuckerberg Initiative di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, e di sua moglie Priscilla Chan, pediatra, investe milioni nell’istruzione pubblica per personalizzare insegnamento e apprendimento. Ogni bambino deve crescere in un mondo migliore, sostengono. Due sono le idee che guidano la Chan Zuckerberg: far progredire il potenziale umano e promuovere le pari opportunità. L’obiettivo è investire su quanto può essere grande ogni vita umana, assicurarsi che tutti abbiano accesso a queste opportunità indipendentemente dalle circostanze.
Questa è la forbice dei tempi, la distanza nel divario: l’ombra del miliardario benefattore che si stende come salvezza sui nostri sistemi formativi ancora d’altri tempi.
Le nostre vetrinette di scuole in chiaro, il nostro mercato degli open day di fronte a tutto ciò fanno sorridere, per non dire che producono tristezza, per la nostra ristrettezza mentale, per le nostre deliranti discussioni sullo smartphone sì, lo smartphone no a scuola.
Prima che arrivi anche da noi la Chan Zuckerberg Initiative, prima di passare dal liceo ginnasio al liceo facebook avremmo bisogno di spremere la materia grigia, di imparare a ripensare alla radice il nostro sistema scolastico, invece di fingere ogni volta di cadere dal pero.
Un sistema scuola che innanzitutto ha necessità di apprendere a funzionare insieme, come corpo di organi affiatati tra loro, a funzionare per un progetto condiviso da tutto il paese, un progetto che accompagni la vita di ogni singola ragazza e di ogni singolo ragazzo dal nido all’università, indipendentemente dalla condizione economica, dall’essere portatore di handicap, straniero, nomade o quant’altro. Una scuola aperta in una società aperta, dalla parte di ogni singola ragazza e di ogni singolo ragazzo.
La grande rivoluzione compiuta dalla tecnologia è quella di consentire a tutti di vivere in ambienti sempre più intelligenti, l’intelligenza ci accompagna ormai dappertutto con i suoi microprocessori, microcomputer, microchip. Questa intelligenza è una grande risorsa per essere noi stessi più intelligenti.
Si sa che un ambiente intelligente cresce l’intelligenza, crea le sinapsi e l’intelligenza si gioca nei primi anni della nostra infanzia.
La scuola in chiaro di cui abbiamo bisogno è una scuola capace di accogliere le nostre bambine e i nostri bambini e sviluppare la loro intelligenza, il pensiero, la mente, capace di offrire ambienti intelligenti ricchi di occasioni di apprendimento e di stimoli dai nidi alle superiori. Non importa se non tutti sapranno tradurre una versione di greco o di latino o risolvere un’equazione differenziale, la cosa che importa è che la cultura diventi per tutti familiare, non qualcosa da temere e da evitare, che ognuno familiarizzi con la propria intelligenza e con quella dell’ambiente che gli sta intorno. Un abito diffuso e quotidiano per tutti in modo che le giovani generazioni vivano immerse nella cultura, nutrendosene e respirandola fin da piccolissimi, e tutti possano decidere liberamente come approfondire i propri interessi e impiegare i propri talenti senza dover più scegliere tra l’angustia selezionatrice di licei, tecnici e professionali, ma tra luoghi di studio dove crescere la propria intelligenza e curare le proprie passioni.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Pescando un pesce d’oro
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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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