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La città delle persone, dei luoghi di lavoro, dell’incontro, delle piazze, delle comunità, l’intera città è un sistema connesso di apprendimenti, un sistema complesso di saperi e di valori, un sistema di significati e di dialoghi. Questo sistema deve vivere, deve interconnettere tra loro processi e momenti di conoscenza, farli circolare, comunicare tra loro, perché da luoghi chiusi divengano luoghi aperti a disposizione di tutti, a disposizione del progetto di una città che apprende, di una città che conosce. Gli individui, le città, le società che apprendono sono organismi vivi, in un processo di continuo e costante rinnovamento.

Da sempre le città amministrano la conoscenza e oggi pare interessante riflettere sull’evoluzione relativamente rapida di questa loro funzione. Volendo ricostruire tale evoluzione, è possibile individuare una prima generazione, la più lontana, ma anche la più duratura nel tempo, in cui le città hanno fatto a gara per essere sede di prestigiose istituzioni culturali, dalle università alle scuole, dalle biblioteche ai musei, dai teatri alle sale cinematografiche. Una fase che potremmo definire di gestione delle fonti di informazione. Una seconda generazione, molto più recente, e che potrebbe essere fatta risalire agli ultimi decenni del secolo scorso, salvo l’eccezione dei grandi eventi come le esposizioni universali, è quella in cui le città, attraverso la creazione di eventi e appuntamenti culturali, come mostre, concerti, premi letterari, si sono proposte come collettori di informazioni e conoscenze per attrarre le persone e connetterle tra loro. Già prende corpo l’idea che le istituzioni educative formali non sono più sufficienti a soddisfare il bisogno di conoscenza della società. Non solo. È in questo stesso periodo che le città scoprono l’importanza di istruzione e formazione a partire dai primissimi anni; di qui la diffusione dei nidi e delle scuole dell’infanzia in cui le città della nostra regione sono state all’avanguardia.
Infine la terza generazione, quella attuale, in cui le città si trovano di fronte alla necessità di gestire un sistema complesso e profondamente interconnesso di informazioni e di conoscenze. È la fase delle città che apprendono, delle città della conoscenza, la fase aperta dallo sviluppo fondato sulla conoscenza e sul suo continuo interscambio a livello mondiale.

Società della conoscenza, economia basata sulla conoscenza, hanno dato avvio a questa nuova stagione, a un modo nuovo di produrre fondato sulla creatività e l’innovazione, a prescindere dal mercato, a prescindere dall’economia di carta. Fiducia, iniziativa, immaginazione, conoscenza, attività immateriali ne sono gli ingredienti principali. In questo contesto il pianeta si va trasformando in un mondo di sistemi di significati paralleli che rendono complessa la comprensione e l’interscambio collettivo. Un mondo che non è più solo informazione e conoscenza, ma sempre più tessuto di significati che richiedono di essere interpretati, compresi, negoziati.
In questo universo di significati molteplici è, dunque, vitale la costruzione sociale di comunità che apprendono, di comunità i cui soggetti non siano passivi ricettori di conoscenze, ma attivi protagonisti di apprendimenti. Di questa società che cucina informazione e conoscenza è espressione la rete, il fare rete, Internet, come processo permanente e costante di circolazione e di negoziazione dei significati.
Nel cuore di questa complessa trasformazione del sistema sociale, economico e tecnologico si colloca l’apprendimento, dal quale dipendono ormai le nostre società. Il sistema di apprendimento, il sapere non più come solo diritto allo studio, ma come diritto di cittadinanza, quel “Learning to Be”, “apprendere per essere”, del Rapporto Faure, nell’ormai lontano 1972. Ma i nostri sistemi di apprendimento, le nostre istituzioni educative sono strutture sociali storicamente determinate, strutture che esibiscono implacabilmente la loro data di fondazione, sistemi che rischiano di non fornire più gli strumenti necessari a interpretare significati e bisogni che stanno alla base della società della conoscenza di questo ventunesimo secolo.

La città della conoscenza si definisce come una città che genera costantemente e pertinacemente conoscenza come mezzo per il suo sviluppo. Occorre che la formazione nel suo modo di essere, di procedere e nei suoi obiettivi si disponga a questo orizzonte. Non più cives e basta, ma cittadini di “Ideapolis”, cittadini creativi, inventivi nella comunità mondiale dei giardini delle idee. La società della conoscenza si nutre di creatività e di intelligenza, si regge sul suo capitale sociale intellettuale. Questo è il capitale che scuole e università devono formare, la ricerca nutrire e le città attraverso l’apprendimento diffuso far crescere.
La città della conoscenza è mappatura del suo capitale intellettuale e dei suoi saperi, connessione dei suoi nodi, è la solida capacità dei suoi cittadini di narrare la sua storia e il suo futuro.

Nel contesto dell’economia della conoscenza, partendo dalla definizione classica di Weber della città come “insediamento umano che non vive di agricoltura, ma di commercio e servizi”, la città della conoscenza investe una percentuale molto alta delle sue risorse nell’istruzione e nella formazione professionale, nella ricerca e nell’apprendimento dei suoi cittadini. La città è un insediamento umano la cui abilità sta nel creare ricchezza attraverso la capacità di generare e moltiplicare le conoscenze. Nella città della conoscenza, imprese e cittadini si alleano, si collegano per formare una rete estesa di conoscenze, per conseguire obiettivi strategici, coltivare l’innovazione e rispondere con successo ai rapidi cambiamenti dello sviluppo.
Nella terza generazione delle città che amministrano la conoscenza è l’apprendimento il fattore chiave, è l’apprendimento a fare la differenza tra la “società della conoscenza” e la “società dell’informazione”.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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