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11 Giugno 2018

La fanciulla nel bosco

Tempo di lettura: 4 minuti


Il foglio resta bianco per ore. La penna traccia ricami su ricami, ma nessuna parola. La mente è sgombra di pensieri e vuota di idee.
Poi ascolto questa ballata di Steve, e lentamente inizia ad affiorare la traccia di un ricordo. Una vecchia storia, qualcosa sentito da bambino. la cerco nella memoria più remota e polverosa, ed eccola…

Attacca la chitarra e una voce racconta:
Era molto tempo fa, e rari i solchi di passi avventurosi nei terreni incolti.
Le verdi colline erbose di Lethia circondavano il bosco d’aceri e sicomori, proteggendolo dai venti tormentosi del nord, mentre a sud il grande fiume sbarrava il passo a chiunque volesse violarne i segreti.
Una splendida fanciulla di nome Isabelle abitava col padre nell’unica dimora mai costruita in quella valle boscosa. Strana cosa: un uomo e la sua giovane figlia, soli in un bosco sperduto e isolato… perché mai?
Il regno era vasto, e a due giorni di cammino oltre il fiume c’era un villaggio di contadini. Alcuni di loro conoscevano la storia della casa nel bosco di sicomori. Era una storia triste e terribile. Si diceva che anni prima il principe si fosse invaghito della moglie dello stalliere di corte. Lei era bellissima e i suoi lunghi capelli ricci e corvini avevano fatto perdere la testa al vecchio principe, tanto da spingerlo a chiederne le grazie. Ma la donna, devota al marito e in dolce attesa, lo respinse con decisione. Così, offeso nell’orgoglio, il principe si vendicò accusandola di stregoneria.
Lo stalliere e sua moglie dovettero fuggire dal castello, e il principe mise una taglia su entrambi.
I fuggiaschi vissero di stenti per mesi e la moglie dello stalliere morì poco dopo aver dato alla luce una dolce bambina. L’uomo, distrutto dal dolore e rimasto solo con una bimba da sfamare, si gettò nel grande fiume con lei stretta tra le braccia. Lo fece per porre fine alla sua disperazione e per risparmiare alla figlioletta una lenta agonia.
Ma la storia invece non finì.
Padre e figlia furono visti immergersi nelle acque lente e profonde del fiume da un gruppo di viandanti e, prima di esserne completamente inghiottiti, vennero raggiunti e tratti in salvo. Quei viandanti erano zingari erranti nelle terre del regno e, una volta appresa la triste storia dalla voce tremante dello stalliere, decisero di aiutarlo accogliendolo tra loro e prendendosi cura della neonata.
Per dieci anni lo stalliere e la figlia erano rimasti al seguito del clan di zingari. Nel frattempo, la bambina assomigliava sempre più alla madre che non aveva mai potuto conoscere e di cui aveva preso il nome: Isabelle.
E forse fu proprio per questa ragione che il padre decise di abbandonare quella che era diventata la sua seconda famiglia, coloro che avevano salvato lui e Isabelle.
Alla fine aveva confessato il suo timore. Aveva detto loro che se mai il principe e i suoi cavalieri avessero incontrato Isabelle, l’avrebbero senz’altro scambiata per la madre ringiovanita dagli effetti di un sortilegio. L’avrebbero imprigionata, torturata e messa a morte. Perciò doveva portarla in un posto lontano e nascosto, inaccessibile alle guardie a cavallo. E il luogo ideale era il bosco oltre il grande fiume.

Ogni mattina Isabelle esce di casa, attraversa il bosco di sicomori e si ferma sulla riva del grande fiume. Suo padre è morto già da due anni, si era ammalato di nostalgia e il ricordo della moglie adorata l’aveva consumato. Sul letto di morte aveva chiamato Isabelle, le aveva preso le mani e le aveva chiesto perdono. E lei gli aveva baciato la fronte e gli aveva sorriso rassicurandolo col suo amore.
Ma Isabelle non ha dimenticato quel ragazzo bruno, il giovane zingaro con cui passava le giornate di bambina. Non ha dimenticato quella promessa fattale la sera prima dell’addio: “Isabelle, un giorno verrò da te. Attraverserò il fiume e ti porterò via. Il mondo è così grande… più grande del tuo bosco e di questo stesso regno. Se mi aspetterai te lo regalerò tutto, giuro!”
Isabelle vive sola ma non ha paura, ha imparato a nutrirsi dei frutti dolci e polposi che raccoglie nel bosco, e del pesce portato dalla corrente che ha imparato a catturare con le reti.
Ogni mattina Isabelle esce di casa, attraversa il bosco di sicomori e si ferma sulla riva del grande fiume. Ha con sé un fragile anemone blu, promessa e speranza insieme. Lo getta nelle acque lente, sicura che prima o poi un uomo bruno giungerà con un fiore da restituire e una promessa da mantenere.

The Virgin and the Gipsy (Steve Hackett, 1979)

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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